Il killer scelto dei corleonesi di Francesco La Licata

Il killer scelto dei corleonesi Il killer scelto dei corleonesi La sua firma su Capaci e il delitto Giuliano UNA CARRIERA NEL SANGUE CPALERMO HI ha avuto modo di conoscerlo da vicino non ha mai nascosto il senso di paura che possono incutere i suoi occhi. Leoluca, Luca o Leoluchino, a seconda della confidenza che l'interlocutore poteva permettersi, non faceva mistero del compiacimento che provava esternando tutta la sua «cattiveria». Ne sanno qualcosa i fotografi che, incauti, tentarono di passare inosservati alla festa di nozze che il boss diede a Villa Igea quando - finalmente - riuscì a coronare il sogno d'amore con Vincenzina Marchese, anch'essa di «buona famiglia», ma non tanto da meritare il consenso di don Totò Riina, il padrino, sempre un tantino diffidente nei confronti di quei Marchese di corso dei Mille che in passato erano stati in adorazione di don Stefano Bontade, principe di Villagrazia e grande nemico di Riina. Già, la festa di nozze. Qualcuno dei paparazzi più intraprendenti era riuscito a superare lo sbarramento e a raggiungere i viali alberati del Grand Hotel, nella speranza di poter carpire un fotogramma. Ma Luca non è tipo da farsi sorprendere facilmente, così ai fotografi fu amichevolmente consigliato di desistere. Leoluca ha 53 anni, ma da sempre ha dovuto rassegnarsi al ruolo di «ultimo» - almeno anagraficamente di un gruppo, quello dei corleonesi, letteralmente schiacciato da due «grandi vecchi»: Totò Riina e Bernardo Provenzano, incontrastati monarchi del regno corleonese. Neppure la parentela col padrino - Antonietta, la moglie di don Totò e sorella di Leoluca - gli è valsa la leadership della famiglia. Neppure dopo la cattura di don Totò, Bagarella è riuscito ad arrivare al vertice, ostacolato dalla sua incondizionata osservanza al padrino e quindi corresponsabile della scelta stragista di Cosa Nostra che più di una spaccatura ha provocato all'interno dell'organizzazione. Anzi, proprio dopo la cattura del cognato, Bagarella ha finito con l'essere indicato come il più adatto a proseguire nello scontro con lo Stato. E quasi in opposizione con l'immagine di Bernardo Provenzano, descritto invece come uno più riflessivo e più incline alle soluzioni «politiche». D'altra parte, la storia di Bagarella è la storia di un uomo d'azione, una sorta di capitano di ventura che non ha mai potuto far carriera solo perché oppresso dall'immenso potere accentratoro del cognato. Nasce killer, Leoluca. Almeno cosi vuole l'aneddotica di Cosa Nostra. Como il fratello, quel Calogero che travestito da finanziere - fu portato via cadavere dall'inferno di via Lazio, la sera (dicembre 1969) che i corleonesi andarono a dare il benservito ai palermitani di Michele Cavataio. Quelli erano i tempi della prima guerra di mafia e lui, ma anche Riina e Provenzano, erano soltanto i capi di stato maggiore del «comandante» Luciano Liggio. Persino il fisico di Luca, sembra pensato per incutere terrore. Spalle enormi, collo taurino, bacino possente, mani massicce. E lo sguardo: gli occhi neri, due laser, capaci di trafiggere. Quello sguardo fu immortalato dai fotografi che lo ripresero in occasione del suo primo arresto «importante». Dicembre 1979, corso Vittorio Emanuele, a Palermo, direzione piazza Marina e Porla Felice. Due carabinieri fermano una 127 con a bordo una coppia. Lui è Bagarella, già latitante, lei 6 Vincenzina Marchese, la fidanzata, ma i militari non lo sanno. Luca cedette all'arroganza coi militari, specialmente perché - sembra - uno dei due faceva il galante con Vincenzina. Finirono tutti alla caserma «Carini»: l'episodio avrebbe potuto risolversi con una predica per il giovanotto troppo focoso, ma con i documenti apparentemente a posto. Fu un maresciallo a rovinare tutto: incontrandolo per caso noi corridoi del Nucleo investigativo, disse ai colleghi: «Ma quello è Bagarella, avete preso Bagarella». Ne passò del tempo, prima che si I ritornasse a parlare di lui. E sempre : in relazione alla sua capacità d'azio! ne. Stava per evadere, Luca. Un fatto abnorme, perché una vecchia regola del carcere dell'Ucciardone vieta le fughe, non fosse altro che per risparmiare ritorsioni agli altri detenuti. Ma per Luca, nulla era impossibile. La sera del 23 luglio del 1981, tutto era pronto: due agenti di custodia avrebbero dovuto fingere di non vedere. Così non fu, ma solo perché all'ultimo a uno dei due fu cambiato il turno e il collega chiamato a sostituirlo vide e diede l'allarme. Ma la libertà - sebbene nel frattempo fosse stato sospettato di avere ucciso il vicequestore Boris Giuliano e tanti altri - non poteva tardare. Gliela regalò un cavillo giudiziario: la scadenza dei termini di carcerazione applicata in modo «retroattivo» da giudici troppo distratti. Luca ebbe il tempo di sposarsi e di sparire (dicembre 1990) insieme con la moglie. Poi nulla. Di lui si parlerà sempre come figura immanente di tutte le stragi: da Falcone alle bombe di Roma, Firenze e Milano. Sara interessante se gli investigatori riusciranno a mettere le mani nei cassetti di casa sua. Si, perché Bagarella, probabilmente per via del suo delirio di onnipotenza, spesso lascia tracce importanti. Nel '79, nel covo di via Pecori Giraldi, dimenticò il suo documento accanto a quattro chili di eroina e a un paio di stivali. No, non erano i suoi: appartenevano a uno dei fratelli Sorrentino, entrambi uc risi da lui e fatti sparire. Quegli stivali gli costarono una condanna. Francesco La Licata

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