Londra lascia anche Hurd di Mario Ciriello

Dopo l'abbandono di Major s'accende la battaglia tra i tory Dopo l'abbandono di Major s'accende la battaglia tra i tory Londra, lascia anche Hurd Si dimette il ministro degli Esteri LONDRA NOSTRO SERVIZIO E' in ebollizione la scena politica britannica. A sole 24 ore dalla decisione del premier John Major di giocare d'azzardo e di chiedere ai parlamentari conservatori una conferma della sua leadership, il ministro degli Esteri Douglas Hurd ha annunciato ieri che si dimetterà. Non lo farà subito, attenderà il «primo rimpasto governativo», rimpasto che seguirà alla votazione del 4 luglio, quella che deciderà se lasciare la guida tory, e quindi la premiership, a John Major o se affidarla a un altro. Che Hurd volesse lasciare la politica si sapeva da molti mesi, e lo ha ricordato lui stesso: «Dopo 16 anni di attività come ministro, 6 agli Esteri, ho deciso che era giunta l'ora di ritirarmi»: me nessuno si attendeva che proclamasse i suoi propositi in queste ore ansiose per il partito e il governo. Perché ha scelto questo momento? Non poteva attendere? Molte e diverse sono le spiegazioni, in questa arroventata atmosfera politica: ma una prevale. Douglas Hurd ha preso due piccioni con una fava. Se ne va, può dedicarsi finalmente alla famiglia, e, allo stesso tempo, lascia libero, per Major - al quale ha promesso di dare tutto il suo appoggio nella gara per la leadership - un dicastero vitale, quello degli Esteri, pedina pre- ziosa che il leader potrà usare nelle manovre e nelle battaglie dei prossimi giorni per premiare i suoi fedeli. Già si fa un nome, il futuro ministro degli Esteri potrebbe essere Malcolm Rifkind, ora ministro della Difesa, un euroscettico, ma blando, flessibile. Aspira agli Esteri da tempo e Major lo sa. L'inattesa sfida lanciata da Major ai ribelli nel partito è salutata dai media con calda ammirazione. Tutti i giornali paragonano il Premier a un «audace giocatore», c'è chi parla di lui come un Clint Eastwood che coglie di sorpresa i suoi nemici e li costringe a rivelare le loro intenzioni. Non c'è dubbio, la mossa è abile, scaltra. Major sapeva che, in autunno, durante il Congresso del partito, egli avrebbe dovuto sottoporre il suo mandato di leader a un pericolosissimo match. Una sua sconfitta pareva inevitabile. La chiassosa fazione degli euroscettici si è fatta sempre più aggressiva, incoraggiata, spronata dalle infuocate dichiarazioni anti-Major e anti-Europa di Margaret Thatcher (che soltanto ieri ha dichiarato il suo appoggio al premier). John Major ha deciso così di non attendere l'autunno, di non presentarsi all'altare tory come un «agnello da sgozzare»: ha anticipato la battaglia, ne ha abbreviato al minimo i tempi (tra le nomination e il voto intercorreranno sei giorni soltanto), da vittima si è trasformata in eroe. E con ogni probabilità uscirà vincitore. Fino a ora, un solo tory sembra meditare una sfida, l'ex cancelliere dello Scacchiere Norman Lamont, nemico implacabile di legami troppo stretti con l'Europa, avversario feroce della moneta unica. Ma neppure gli euroscettici amano Lamont, un uomo malvisto dai più e di cui tuttora si ricorda l'infelice frase, «je ne regrette rien», pronunciata mentre gli inglesi subivano le dolorose conseguenze delle sue strategie economiche. Grande è ovviamente l'agitazione e molte sono le domande, una soprattutto: cosa farà Major se vincerà, ma con una maggioranza esigua? La grande crisi ed è significativo - non sembra però né eccitare né turbare il Paese. Tale è la sfiducia nei conservatori che, intervistati dalla tv e dai giornali, i cittadini rispondono: «Non ci interessa. Queste lotte intestine confermano che quel partito è finito. Che Major vada o resti non cambierà nulla». Ma un commentatore descrive il partito come uno specchio d'acqua «pieno di squali»: il Financial Times ricorda che la presenza degli eurofobi, «questa minoranza nazionalista», è divenuta «destabilizzante e distruttiva». Ammettiamo che Major trionfi, che metta la museruola agli eurofobi. Basterebbe questo successo a risollevare il partito nel favore popolare, nei due anni o meno che ancora mancano alle elezioni generali?'Tutto è possibile, in politica, ma i più sono scettici, un Major vittorioso «riuscirebbe forse ad allontanarsi dall'abisso antieuropeo» l'immagine è del Financial Times - ma potrebbe spronare lo stanco partito verso nuove strategie economiche e sociali? Potrebbe arrestare il laborista o meglio il socialdemocratico Tony Blair il leader che oggi sembra appagare le aspirazioni dei più, degli stessi industriali? Mario Ciriello r, Il ministro Douglas Hurd

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