HO VISTO I COVI DEI NAZISKIN di Ernesto Gagliano

HO VISTO I COVI DEI NAZISKIN HO VISTO I COVI DEI NAZISKIN Dossier di un ebreo in Germania I. OLOCAUSTO? V Nein. Propagan✓ da». Auschwitz? «Propaganda». Sembra fantapolitica, sono gli inI contri inquietanti di un giornalista israeliano, Yaron Svoray, che si immerge in Germania tra i clandestini del neonazismo e i gruppi razzisti di estrema destra. La sua inchiesta, Neonazi, condotta per alcuni mesi tra il 1992 e il 1993, svela che lo spettro nazionalsocialista si aggira ancora, sotto varie sembianze. Lo conferma Simon Wiesenthal nella prefazione: «L'odio non è morto con Hitler in quel bunker: stiamo attraversando una nuova epoca di fanatismo e violenza». Svoray, aiutato nella stesura dallo scrittore americano Nick Taylor, espone il suo dossier con il ritmo serrato del romanzo poliziesco: dialoghi, ambienti e personaggi sono intrisi di suspense. Ex investigatore nella polizia israeliana, corpulento, spinto da un misto di etica e gusto dell'avventura, il giornalista si è portato un piccolo arsenale elettronico e documenti intestati a un fantomatico Ron Furey. Lo appoggia il Centro Wiesenthal di Los Angeles, ma finge di appartenere a un'organizzazione filonazista americana e vanta amici disposti a finanziare movimenti di estrema destra in Europa. Il profumo dei dollari gli apre sentieri in un sottobosco ultranazionalista e antisemita, tra gente violenta e sospettosa, con il rischio continuo di essere smascherato. Scoperte? Svoray entra in covi di giovani cultori di svastiche, con tute mimetiche, giubbotti bomber, magliette che sbandierano il motto delle SS: «Blut und Ehre» (sangue e onore), si mescola a skinhead in caccia di extracomunitari, ascolta tra bevute di birra i loro progetti per una «Germania pulita, con strade sgombre dalla sporca marmaglia che ruba e sparge donne e figli...». Una Germania tutta bianca con i bambini dai capelli di lino. Ma non sono astratti propositi, lo dimostrano le bombe incendiarie che hanno ucciso turchi (soprattutto donne) a Mòlln e a Solingen. E gli ebrei? Il capo di un'organizzazione, Gioventù vichinga, modellata sulla Hitlerjugend, sentenzia: «Se uno è ebreo deve andarsene in Giudea, se una persona è tedesca deve starsene in Germania. Insieme non vanno bene. Sono il bianco e il nero». Discorsi che evocano brividi lontani. Svoray assiste anche a una festa nazista (beninteso, segretissima) per il solstizio d'inverno, con altarino teutonico, trionfo di svastiche, giovani in camicia bruna, ragazze vestite in nero e pelle. E sopra il gabinetto hanno messo una stella di David. Una sera un gruppo di skinhead accompagna in auto l'ospite dall'aria complice in una località, oltre Francoforte, a visitare un campo di addestramento per sono in particolare i punti su cui Pecchioli mette in chiaro le cose. Pur negando che il partito comunista abbia mai creato e diretto «una struttura militare clandestina armata» (la Gladio rossa), riconosce l'esistenza di frange, come le «avanguardie garibaldine», che poterono essere anche deviate. E pur condividendo le ragioni dell'anticraxismo, ammette sia stata una contraddizione «che fu alla base di nostre continue, anche se limitate, erosioni elettorali». Non aspettatevi però rivelazioni clamorose: anche oggi, il «rivoluzionario» Pecchioli non viene meno al suo stile, [a. p.] Ugo Pecchioli Tra misteri e verità Baldini & Castoldi pp. 195. L 22.000 «camerati» che vanno a combattere a fianco dei nazionalisti in Croazia. Lo bendano fino all'arrivo. Ci sono baracche che servono da caserme, bersagli per il tiro, percorsi ad ostacoli. Tutto clandestino. L'inchiesta illumina il legame tra vecchi nazisti del Terzo Reich e nuovi seguaci della svastica, accerta che molti di costoro non vogliono essere chiamati skinhead: «Ci sono skinhead di sinistra, ci sono skinhead apolitici. Noi siamo nazionalsocialisti». Emergono anche contatti tra il Ku Klux Klan americano e l'estrema destra tedesca in nome della «supremazia bianca». Difficile tracciare una mappa precisa di gruppi e gruppuscoli, stabilirne l'entità numerica, mettere a nudo la febbre dell'intolleranza che spesso si annida sotto la maschera di nazionalismo benpensante di certi movimenti. Ma il disegno di Svoray offre un chiaro spaccato di neonazisti e skinhead con incursioni in qualche angolo oscuro della classe media. Affiorano timori, atteggiamenti guardinghi. Un aspirante leader dell'estrema destra esita: «Mi è stato vietato di dire ciò che vorrei: potrei finire in galera. E la Gioventù vichinga sarebbe al bando da un pezzo». Un altro: «Non si può dire tutta la verità in una/volta». C'è chi propone /anche di dissimularsi in un partito di centro, il Deutsche Mitte. O chi parla chiaro. Friedhelm Busse del Fap (libero partito operaio tedesco) rivendica i confini del 1937: «La riunificazione della Germania potrà essere considerata tale solo quando Kònisberg tornerà tedesca, quando il Sud Tirolo sarà nuovamente tedesco...». Meinolf Schònborn, capo del fuorilegge Fronte Nazionalista (pare con 7 mila membri e parecchie migliaia di simpatizzanti) proclama in privato: «Non vogliamo migliorare niente di questo sistema. Vogliamo un sistema nuovo, il Quarto Reich». Nella galleria di ritratti non manca la patetica figura dell'ex cameriere di Hitler, Karl Wilhelm Krause. Seduto su un divano al Grand Hotel Arabella di Francoforte, rispolvera la storia che il Fuhrer non sapeva dei campi di concentramento: «Aveva sentito parlare solo di Dachau». Di fronte a queste nebbie della memoria, o mistificazioni, risalta ancora di più il lavoro concreto di Svoray. Un po' detective e un po' cronista, ha raccolto nel suo taccuino fatti e nomi che sono un campanello d'allarme (sottovalutato dal governo tedesco, come sostiene l'autore?). Sono un invito a vigilare su certi fragili equilibri democratici perché in Europa serpeggiano di nuovo l'ultranazionalismo, la pulizia etnica e l'intolleranza. Mostri di vecchia conoscenza. Ernesto Gagliano Yaron Svoray, Nick Taylor Neonazi Mondadori pp.32I.L. 30.000