UN PAESE SOTTO IL FRANCOBOLLO di Bruno Quaranta
UN PAESE SOITO IL FRANCOBOLLO UN PAESE SOITO IL FRANCOBOLLO Italia e tv nel romanzo di Belpoliti /. GioiWlfielti) socialismo reale. C'è la madre di Italo, nottetempo spesso e volentieri visitata da corpi sconosciuti, poi figlia di Maria, poi sposa di un onorevole democristiano, impotente e infatuato di Gerra-Gedda (gemellologo & comitati civici), poi femminista e divorzista, poi di nuovo sposa, di un ex prete naufragato nel terzo segreto di Fatima. C'è lo zio di Italo, un ex partigiano pullulante di fregole rivoluzionarie. C'è il governo Tambroni e c'è il caso Moro, c'è il Piano Solo e c'è Patty Pravo, c'è il Venerabile e c'è il Gobbo, c'è lo Psicolabile e c'è Gigliola Cinquetti. C'è, in particolare, la corrosiva Tivù («Se non ci fosse stata, l'Italia esisterebbe ancora» assicura Italo). Ma non si equivochi: nel «memoriale» di Belpoliti, datato 2010, è assente, o è ben dissimulata, la vis polemica dei contemporanei di Berlicche &• C. «Ho cercato di calarmi nei panni di un abate del Settecento, di "esplorare" l'oggi con filtri illuministici, volterrianamente candidi, vorticosamente, capricciosamente sterniani. No, non è un'opera "schierata", l'ideologia non la ipoteca. Come dimostrano le opinioni che vado accumulando. E' riuscita a far inalberare l'amico Baget Bozzo ed è Baget Bozzo -, che vi ha scorto un'anima reazionaria. Ed è risultata indigesta a parecchi lettori di sinistra». Italo, un Grand Tour nel PaeseChe-Non-C'èPiù, nel bazar trapunto di antenne. «Inevitabile che sia un romanzo televisivo, doppiamente televisivo. Gareggia con la scatola magica in velocità. E vuole emularne la sovrana capacità di raccattare, raccattare, raccattare. Ho allestito un emporio, l'ho riempito con la testardaggine del rigattiere, non escludendo nulla: slogan, battute, vocaboli di bassa lega, spettacoli e bestseller^, un kitsch che non è kitsch, perché è infine, piaccia o meno, la linfa quotidiana». Qui la generosità della lingua di Italo. Il suo fabbro l'ha modellata pensando a Calvino (gli ha dedicato un saggio, Calvino e l'arte, Einaudi lo pubblicherà nel '96): «Intervenendo a un convegno di traduttori analizzò la separazione fra parlato e scritto che contraddistingue noi e gli inglesi. Le frasi che escono dalla bocca non sono mai complete, la voce è inseparabile dalla gestualità. La sfida consiste nel rendere nero su bianco tale miscela». Italo è il francobollo dedicato alla perenne schizofrenia, alla cronica mancanza di armonia, al virus campanilistico che spiega il fallimento italico (e non solo italico). «Siamo in pochi a sentire la scomparsa del mondo» si congeda Marco Belpoliti, ma ignaro di qualsiasi moralismo, avvolto in un comico spleen. IMONZA EI, che vive fra Arcore e Como, nelle terre a 24 pollici, sa come andrà a finire? «Come la maggioranza degli italiani spera». Ne è sicuro? Non pecca, forse, di ottimismo? «La domanda mi ricorda un antico dialogo. Il pessimista: "Peggio di così le cose non potrebbero andare". L'ottimista: "Potrebbero, potrebbero"». L'elicottero in mille pezzi di Berlicche (il signor televisione), metafora di un crollo auspicato, è l'estrema scena di Italo (Sestante, pp. 397, L. 20.000), romanzo, non d'esordio, di Marco Belpoliti. Due lenti di qualità, le sue, due laser che rovistano lo Stivale, lo mettono a nudo, di detrito in detrito, lo toreano e lo frullano. Dal 1954, quando vede la luce il protagonista (e, con lui, la Tivù, il grande fratello catodico) ai nostri giorni. Marco Belpoliti, allievo di Umberto Eco, a Monza insegna nell'Istituto d'Arte, «pieno di fosfori, di stimoli, di libertà». La sera toma nella casa secentesca, in Alta Brianza, dove lo aspettano la moglie Claudia, la figlia Anna, gli articoli per «il manifesto», la cura della rivista Riga. E la bicicletta, una passione che discende per li rami. E' nato a Reggio Emilia (nel 1954, va da sé). E in Emilia, come «in nessun'altra parte, la bicicletta ha qualcosa del cane, continua compagna che si porta seco», affabulava Cesare Zavattini da Luzzara. Ecco un eccentrico signore che s'intendeva di inatti, «matti» al pari del suo conterraneo, concreto e visionario insieme, cimentatosi nell'impresa mica lieve di narrare la storia d'Italia, uno spicchio di non poco conto. Un album «popolare» (o «nazionalpopolare») che si affianca senza rossori alla stimma dandy di Arbasino. Sono i francobolli a scandire il viaggio, a dare il «la» a ogni capitolo. Finestre sulle figure e sui fatti che furono, rettangoli dentellati (e, quindi, non lineari, non limpidi) come i destini della Penisola. Una varietà di siparietti che via via si alzano, svelando intrecci (fili individuali e collettivi, autobiografia privata e autobiografia nazionale) grotteschi, picareschi, eccessivi, pinocchieschi, monelleschi alla Giamburrasca. Non ha dubbi Marco Belpoliti: «Il mio è un libro massimalista, le vicende debordano, ma anche la lingua è generosa». Vero, verissimo. C'è Italo che tutto prevede, seguito dalla culla alle passioni bombarole, alla villa di Berlicche, il magnate di cui diventerà segretario aggiunto e genero. C'è il padre (ma non lo è! di Italo, comunista, accusato (a torto) di aver assassinato un parroco, rifugiatosi (chissà) in una tana del Munii llrl/x/lil Munii llrl/x/lili (/. GioiWlfielti) Bruno Quaranta
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