La poesia ipnotica di Guerra di Masolino D'amico
Festival di Asti Festival di Asti La poesia ipnotica di Guerra ASTI. «La casa dei giardini interni» di Tonino Guerra, presentato ad Asti dal congenialmente nominato Teatro delle Briciole di Parma, è un piccolo testo poetico, con aggettivo che qui appli co più alla forma che al contenuto. Definisco un testo teatrale poetico, per spiegarmi meglio, quando la sua materia è presentata in modo compresso, andando al sodo, senza sovrastrutture come trama o analisi dei personaggi - cosa che il teatro consente, come lo consente la barzelletta (questo lo dice il drammaturgo americano David Mamet), anch'essa di solito ridotta all'essenziale. «Un tale entra dal farmacista»: il romanzo, il cinema di solito devono dirci com'è questo tale, giovane, vecchio, grasso, magro, che ore sono, ecc. La barzelletta può fame a meno per ragioni espressive, cosi come possono farne a meno la poesia, e il teatro (e la radio: un mio amico autore si è dispiaciuto quando ho definito radiofonico un suo adattamento alle scene, ma la constatazione non voleva essere riduttiva, tutt'altro). In questa «Casa dei giardini interni» agiscono voci, non caratteri, la principale essendo registrata e molto simile a quella del poeta Tonino Guerra stesso, coi suo accattivante accento romagnolo. Questa voce interviene lanciando brandelli di reminiscenze al cui centro è un personaggio gradevolmente bislacco, un professore «di Urbino», un tempo proprietario di una grande casa in campagna nelle cui stanze vuote e fatiscenti ospitava collezioni di oggetti strani, o bizzarre attività di tipo contemplativo. Alcuni degli episodi rievocati sono in parte animati per noi da due attori, uno come il predetto professore, in cappotto e cappello nero, l'altro come un suo amico e interlocutore, alter ego della voce narrante; compare un paio di volte anche una figura femminile con più funzioni. Siamo dappertutto e in nessun luogo, la scena è neutra, ma può essere squassala da un vento piuttosto realistico, o da un sonoro temporale. Gli aneddoti sono brevi e piacevolmente stralunati; per prendere una scorciatoia descrittiva aggiungerò, forse lo avrete già intuito, che siamo nel territorio di ((Amarcord», con figurette innocuamente stravaganti e sapore di paese, né mancano, nell'affettuoso allestimento diretto da Letizia Quintavalla, musiche alla Nino Rota composte da Alessandro Nidi). Qualche esempio. C'è un «cimitero dei nomi abbandonati»: il professore ha prelevato in un vecchio camposanto bandierine di latta con nomi che nessuno porta più - Filomena, Redento, Adeodato - e le mostra all'amico, chiedendogli di aggiungerne altri. Questi elenca Primo, Secondo, ecc., fino a Settimio, Ottavio e Decimo (Nono non esiste: no-no). C'è una mostra di candele da accendere, ciascuna per un desiderio. L'amico ingordo ne accende troppe, poi si vergogna e le spegne tutte, compresa quella di una donnetta, causando così la morte del marito di costei. C'è, più realistica, la storia di un vitellone accusato di stupro dall'olandesina conosciuta su di una spiaggia e delusa dal suo rifiuto di comprarle un vestito... Non c'è molto altro, lo spettacolino dura solo 55'. In compenso l'effetto è ipnotico e carezzevole, grazie in primo luogo ai due interpreti Stefano Jotti e Morello Rinaldi che lo porgono con leggerezza e ironia; e il pubblico si è lasciato cullare volentieri. Masolino d'Amico
Persone citate: Alessandro Nidi, David Mamet, Letizia Quintavalla, Morello Rinaldi, Nino Rota, Redento, Stefano Jotti, Tonino Guerra
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