Nuovi carcerieri per i Caschi blu di Giuseppe Zaccaria

Nuovi carcerieri per i Caschi blu Erano sulla rotta dell'avanzata musulmana. Scambio di bombe coi serbi, 6 morti Nuovi carcerieri per i Caschi blu Sarajevo, i bosniaci bloccano 560 soldati Onu NELLA CITTA' ASSEDIATA SARAJEVO DAL NÒSTRO INVIATO La notizia dice: ci sono 600 Caschi Blu, anzi qualcuno in più, bloccati nei loro accampamenti fra le colline di Vogosca. E immediato giunge il corollario: «Non si tratta di ostaggi - sottilizza il comando dello forze Onu a Zagabria - ma di soldati attualmente impediti nei movimenti». La novità consiste nel fatto che questa volta gli uomini delle Nazioni Unite sono «impediti», non dai serbi ma dall'Armata bosniaca. E' accaduto che due notti fa i governativi abbiano tentato di proseguire la lentissima, sanguinosa avanzata verso Vogosca, che oltre ad aprire il passaggio in direzione di Sarajevo e anche sede di una fabbrica di armi leggere in questo momento preziosissima per i sorbi. Sul fronte c'era una delle basi del battaglione canadese. L'«Armija» di Izetbegovic tenta ancora di tenere distinti i suoi metodi da quelli dei serbi, quindi non c'è stato alcuno che ubbia tentato di disarmare i Caschi Blu, né tantomeno di ammanettarli. Proprio l'altra notte, quasi a sottolineare il contrasto, i serbi avevano sparato sulla via dell'Igmam dove in quel momento transitava un convoglio francese. Eppero dall'altra notte sta accadendo che 560 soldati canadesi siano bloccati all'interno della loro base, il cui ingresso per maggior sicurezza l'altra notte era stato minato dai bosniaci. Più tardi le forze governative hanno tolto le mine per consentire ad alcuni camion di ' ifornire la base, ma la sostanza non cambia. E con i canadesi, 86 Caschi Blu ucraini sono adesso bloccati a Goradze, mentre mancano notizie precise di altri otto osservatori. Eccoci dunque alle avvisaglie di una situazione nuova. Nella Bosnia che comincia ad abbozzare tentativi di rivincita, accade che i soldati della forza di pace siano non prigionieri ma statue di sale, non reparti di osservatori ma unità costrette all'inazione. O peggio, alla condizione di rifugiati, di gente che nascosta nei bunker aspetta che cessi lo scambio di granate fra due eserciti in guerra. Ce n'ò a sufficienza perché la «Forza di reazionerapida» decida di reagire? Non occorrono studi di strategia militare per capire che i bosniaci stanno tentando, ora più che mai, di spingere l'Onu verso un'azione militare che in qualche modo, prevedendo la liberazione dei Caschi Blu, comporti anche la liberazione di fette di territorio. Forse è ancora presto perché questo disogno possa realiz¬ zarsi: al completo dispiegamento della forza anglo-francese mancano ancora due, forse tre settimane. Ma si può scommettere fin d'ora sul fatto che nei prossimi giorni leemergenze si moltiplicheranno, e molte saranno le esche perché prima o poi incursori e legionari facciano vedere che l'Europa, una parte dell'Europa, dispone ancora di un deterrente militare. Nell'attesa, prepariamoci ad un nuovo stillicidio di stragi. Ieri la radio serba si è fatta viva per denunciare la morte, a Vrace, sobborgo di Sarajevo di un bimbo di 12 anni e del ferimento di altri tre piccoli. Cosa sta succedendo? Davvero allora i bosniaci sono in grado di rispondere granata su granata, strage su strage? Poco dopo le 12 a Ciglane, quartiere della capitale in mano ai bosniaci, è esplosa una granata di provenienza opposta che ha colpito un mercato, ha quasi amputato le gambe ad un altro ragazzino, ne ha feriti altri quattro o cinque. Alle 6, a Dobrinja, altra esplosione con cinque morti e due feriti. Sombra proprio questo, il nuovo equilibrio cui bisognerà prepararsi: il conflitto di Bosnia, quello che il mondo intero ha continuato a maneggiare con cura per timore si scatenasse una «guerra totale», ha già compiuto questo passo. A quel tipo di scontro siamo ormai vicinissimi, ed i fatti dimostrano ogni giorno di più che la tattica dell'attesa condurrà da nessuna parte. I leader del «Gruppo di contatto» hanno ripreso a contattare: prima i bosniaci a Kiseljak, ieri Milosevic a Belgrado, poi i croati a Zagabria e forse Karadzic a Pale. Nel frattempo l'offensiva sembra raffrodata, ma congelata no. La nuova tattica dell'armata di Bosnia diventa sempre più chiara: attacchi continui e sfibranti condotti su direttrici diverse da parte di piccole unità. Le perdite, dicono, continuano ad essere elevate: soltanto ieri si è parlato di oltre 60 mor- ti fra i militari bosniaci e non si sa di quanti feriti. Ma anche sul versante opposto le cose si fanno sempre più drammatiche. Ho visto l'altra notte, sulla tv bosniaca, l'immagine (non si sa quanto falsificabile, in termini di propaganda) di due ragazzi in tuta mimetica, morti assieme dietro a un cespuglio. Erano due soldati di Pale: avranno avuto 17, 18 anni. Erano legati assieme da una catena, chiusa da un lucchetto, che li univa all'altezza delle caviglie. La televisione di Sarajevo ha detto: «Erano stati legati così dai loro superiori perché non potessero fuggire». La radio di Stato prosegue invece in una campagna egualmente efficace: ogni sera, un elenco di nomi e date di nascita. Riguarda, dicono, i renitenti alla leva della Repubblichetta di Pale. Tutti ragazzi che si dice vengano fucilati perché hanno tentato di sfuggire alla mobilitazione generale. Tutto continuerà così fino al momento in cui l'esercito bosniaco decidesse davvero un attacco in grande stile, o l'Onu un intervento di portata storica. Ieri intanto Sarajevo ha aperto le braccia al primo convoglio umanitario che si vedesse da più di un mese. Poco dopo mezzogiorno i primi camion sono giunti da Jablanica. Portavano farina, lievito e carburante per consentire al «Velepekara», il grande panificio di Sarajevo, di riprendere a funzionare. Solo una goccia, nei bisogni della città. Ma intanto va segnalata un'incongruenza: l'Alto Commissariato per i Rifugiati (in sigla, Unhcr) dice di aver fatto giungere nella capitale assediata 617 tonnellate di materiale. Radio Sarajevo puntualizza, velenosa, «sono 482». Qualcosa si è perso durante il tragitto, o come spesso accade, è stato scaricato nei quartieri serbi. Altri tre convogli sono in attesa dell'autorizzazione a varcare i «check-points». Da alcune ore tutte le fonti bosniache continuano ad insistere sulla situazione di città che in genere non godono dell'attenzione mondiale. A Srebrenica, dicono, la gente vive in condizioni subumane. A Tuzla, il cibo scarseggia di nuovo. Zepa continua a lanciare segnali di allarme che si perdono nell'incrociarsi di notizie e immagini dalla capitale. Giuseppe Zaccaria L'accesso al campo dei canadesi è stato anche minato per 24 ore Tra le vittime due ragazzini Uno ucciso, l'altro ha avuto le gambe amputate Soldati del contingente britannico della nuova Forza di rapido intervento si esercitano in Bosnia

Persone citate: Izetbegovic, Karadzic, Milosevic