Si sfida una legge debole senza rischiare il posto di Giovanni Trovati

Si sfida una legge debole senza rischiare ilposto ANALISI Si sfida una legge debole senza rischiare ilposto LE «norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali» varate il 12 giugno 1990, presidente del Consiglio Andreotti - si dimostrano insufficienti: sono più severe nei confronti delle aziende per un eventuale comportamento antisindacale che per i dipendenti. Per i lavoratori che non le rispettano l'art. 4 prevede «sanzioni disciplinari proporzionate alla gravità dell'infrazione», ma esclude le «misure estintive del rapporto» e «quelle che comportino mutamenti definitivi dello stesso». Si può scioperare in dispregio della legge, tanto il posto e la mansione sono salvi. Così si spiega la baldanza dei piloti, dei Cobas dei ferrovieri, dei marittimi e lo stesso eccessivo numero di malati tra i docenti convocati per le commissioni della maturità. Una legge sugli scioperi era apparsa necessaria sin dai primi anni del secolo. La propose il partito socialista nel 1906. Ma la Cgl (senza la «i») la bloccò. Con il fascismo gli scioperi furono vietati. Di una legge si riparlò dopo la guerra con il ritorno delle libertà sindacali. Ma ancora nel 1970 la Cgil dichiarò che lo sciopero non poteva essere regolamentato neppure contrattualmente. E nel 1988, quando gli scioperi dei piloti e dei ferrovieri avevano esasperato gli utenti, e finalmente i sindacati stavano riconsiderando il problema, Pizzinato, segretario della Cgil, cercò di ritardare ogni normativa ammonendo che bisognava «ragionarci sopra». Se le confederazioni faticavano a convincersi che l'anarchia negli scioperi minava la loro credibilità, i governi dimostravano di avere poca «volontà politica» per fissare chiare regole. Questa incertezza apparve evidente il 19 novembre 1987: il prefetto di Torino precettò 908 tranvieri per assicurare il servizio, ma il governo, allora presieduto da Goria, invece di appoggiarlo, prese le distanze. Gli stessi sindacati furono sorpresi di quell'atteggiamento pusillanime: Lama scrisse che il governo ha il diritto-dovere di intervenire quando «interessi essenziali della collettività rischiassero di venire compromessi». Gli Anni Ottanta furono tra i più tristi per l'assenza di ogni regola e di ogni autorità: quando i piloti dettero prova della loro arroganza - il termine di «Aquila selvaggia» fu coniato nel 1981 - e negli aeroporti il disordine era mortificante, dovette intervenire la magistratura - come a Fiumicino nel 1987 - in supplenza degli organi amministrativi per tutelare il diritto degli utenti ai «servizi pubblici essenziali». Ricordare quei tempi, che ci sono vicini, è istruttivo. Che le norme del '90 sugli scioperi fossero una risposta debole a esigenze gravissime fu subito detto: poteva valere solo se i sindacati erano disposti a accettarla. Il governo Dini ora chiede di rivederle: le leggi inefficaci sono dannose più ancora che inutili. La Corte Costituzionale già nel 1962 affermava che vanno «salvaguardati gli interessi generali, perché assolutamente preminenti rispetto all'autodifesa degli interessi di categoria». Voce inascoltata dal legislatore. I tempi non erano maturi. E adesso? Giovanni Trovati

Persone citate: Dini, Goria, Lama, Pizzinato

Luoghi citati: Torino