Strappo sefardita nel Likud Se ne va il «patriarca» Levy di Fiamma Nirenstein

Strappo sef ardita nel Likud Se ne va il «patriarca» Levy Strappo sef ardita nel Likud Se ne va il «patriarca» Levy LE DUE ANIME DELLA DESTRA GERUSALEMME NOSTRO SERVIZIO L'ultima storiella (e co ne sono tante) che i giornali hanno scritto su di lui riguarda il suo augurio e la sua benedizione a un amico che l'ha invitato al suo matrimonio a Natania: «Che tu possa avere tanti figli quanti me». «Me ne basterebbe la metà», gli ha risposto spaventatissimo lo sposo, sapendo che l'onorevole David Levy, da bravo marocchino, ne ha messi insieme, nella sua casa della periferica Beith Shean, dodici. E' questo j il fondatore del nuovo partito che : si è appena staccato dal Likud, la formazione di opposizione guida- ! ta da Benjamin Notanyhau che conduce una strenua guerra al governo di Itzhak Rabin, e specialmente alla sua creatura più importante, il procosso di pace. Ieri sera, nella cornice volutamente popolare dell'hotel Renaissance di Givathaim, l'uomo che è stato ex viceprimo ministro, la | gran testa dai capelli tutti bianchi, la voce roboante un po' nasale, l'andamento patriarcale che si addice alla comunità orientale d'Israele (orientali sono chiamati in Israele gli ebrei provenienti dai Paesi arabi) di cui egli è il leader, si è presentato al suo pubblico, una folla stipata e festante di 4000 persone, annunciandosi ormai libero dai vincoli col partito d'origi- i ne, e pronto a fondare il suo imo vimento», e non un partito, come lui dice. Ha scelto lo 8 di sera, l'ora delle notizie alla tv. Qualcuno dice che avrà i voti sufficienti por raccogliere fino a 7 seggi alle prossime elezioni; qualcuno considera la sua mossa fataI le e anacronistica, un politico et| nico nell'Israele del processo di pace. C'è chi dice che «Bibi» Notanyhau ha sofferto un grave colpo lasciando andare Levy e mostrando così di non saper tenere unito il partito; altri dicono invoco che in casa Likud si stappa lo champagne perché finalmente quel grandissimo piantagrane di Levy si è levato di torno, dopo tanti anni in cui la messa in scena del gridare «mi butto, mi butto» ave- va sempre costretto i suoi capi, Begin e Shamir, a concedergli quel che voleva: in sostanza, cioè, più spazio per se stesso (così aveva ottenuto il posto di vice-primo ministro) e per la sua comunità, quella degli ebrei orientali. E in particolare, quella marocchina. David Levy è una creatura della grande promozione politica attuata da Menachem Begin, che era però un ashkonazita, ovvero un ebreo dell'Europa dell'Est, nei confronti della grande componente sefardita (marocchini, libici, iracheni, ecc.): prevedendone la pesantissima conflittualità nei confronti della vecchia leadership, quasi tutta di sinistra, russa, polacca, tedesca, Bogin fece degli ebrei orientali poveri e oppressi culturalmente la sua baso per rafforzare una politica estera dura e forte nei confronti degli arabi. «Noi sappiamo chi sono veramente gli arabi», dicevano allora i sefarditi, che erano stati costretti a fuggire dai Paesi circonvicini «e per questo non ci fidiamo di loro». Fu Begin a fare di David Levy il suo ministro dell'Assorbimento e dell'Edilizia, due ruoli di grande vetrina. Levy, poi, ha saputo salire la scala della politica fino a divenire vice-primo ministro, ma ó rimasto memorabile il suo gran rifiuto del posto di ministra del Tesoro, un ruolo sostanzialo, tecnico, esecutivo che gli fu offerto noi 1983: Levy infatti si e sempre sentito molto più portato alla piazza, alla scena che garantisce l'immediata prosa politica. Il suo sogno vero e quello di essere primo ministro o segretario del partito, un capo assoluto, cioè, che riscatti con la sua presenza personale la millenaria oppressione dei suoi fratelli sefarditi, incoronandosi «David Melech Israel», ovvero «David re d'Israele» come canta la canzono più popolare da queste parti. In mancanza di un nuovo inno, nel suo gruppo tutti gliela cantano continuamente. E se gli era possibile accettare che due grandi vecchi come Begin e Shamir non gli cedessero il posto, non ha potuto d'altra parte sopportare che «Bibi», un ashke- nazita con una forte propensione por i modi o lo stile americano, anche ben più giovane di lui, sia oggi il leader indiscusso del suo partito. Netanyhau, all'inizio, di fronte agli estenuanti proclami di orgoglio sefardita di David Levy, ha cercato la pace, gli ha mandato degli emissari, si è scusato quando gli scontri hanno condotto i due contendenti a parole dure. Adesso, è finita: Levy ha gridato «mi but to»; e Netanyhau gli ha risposto: «Pai pure». Si può però pensare anche che la mossa di Levy sia una mossa molto lungimirante: se il processo di pace andrà avanti, la società israeliana diventerà sempre più disponibile ai conflitti interni, ad ascoltare le giuste rimostranze sociali dei suoi poveri e dei suoi discriminati, e delle periferie urbane cui Levy si appella. Inoltre, già si affaccia uno speciale orgoglio degli ebrei nati nei Paesi arabi, che sentono che per loro, capaci di parlare la lingua dell'ex nemico e buoni conoscitori dei suoi costumi, sia apre una vita nuova. Saranno loro il ponte fra Israele e i suoi vicini. Per questo, forse, Levy potrà raccogliere i voti degli elettori del Likud che non hanno più voglia di fare dell'argomento pace-guerra l'unico importante per scegliere in politica. Fiamma Nirenstein Leader degli ebrei provenienti dai Paesi arabi, era in rotta con Netanyhau. Ora fonderà un partito Il leader degli ebrei sefarditi che si riconoscono nelle posizioni della destra, David Levy

Luoghi citati: Europa Dell'est, Gerusalemme, Israele