A Sarajevo, prigionieri in casa Domani la libertà o il massacro

A Sarajevo, prigionieri in casa Domani la libertà o il massacro A Sarajevo, prigionieri in casa Domani la libertà o il massacro NELLA CITTA' AFFAMATA SARAJEVO DAL NOSTRO INVIATO «Lemon runner» è ricomparso ieri mattina, con i soliti jeans tagliati ad altezza di ginocchio, una fascia verde intorno alla testa e in bocca l'immancabile agrume che - dice serve a proteggerlo da ogni cosa. I cecchini serbi tiravano come non mai, di prima mattina quaranta granate erano cadute su Hrasnica bloccando gli ultimi rifornimenti via tunnel, fino dalle dieci pattuglie di soldati e poliziotti attraversavano la città per intimare a chiunque: «Tornatevene a casa». Ma neanche questo ha fermato il corridore pazzo. Ormai lo conoscono tutti, tutti raccontano la sua storia: possedeva un vivaio a Spalato, l'anno scorso con la divisa dell'esercito bosniaco si trovava in una trincea sulla quale piombò una granata serba. Tutti morti tranne lui. E da allora, dichiaratamente psicopatico, riappare corrciido tutte le volte che la crisi si fa più acuta, e la resa dei conti si avvicina. Si avvicina? A quest'ora saprete già se nelle ultime ore Sarajevo ha trascorso la peggiore notte della sua storia o se ancora una volta qualcosa ha bloccato, ritardato la strage. Saprete già se la previsione del vicepresidente Ejup Ganic («La diplomazia senza forza non è servita a nulla») si sarà in qualche modo concretizzata o se la minaccia di Karadzic («Per i bosniaci, un attacco sarebbe un errore irreparabile») risulterà più efficace. La città da ieri è assediata da un esercito che rischia di essere circondato a sua volta. I reparti governativi cominciano ad avanzare giungendo da Breza, venti chilometri a Nord della città, e attaccano Ilidza, sobborgo da sempre nelle mani serbe. Calcolano che sull'area stiano cadendo sei-sette granate al minuto. Le forze serbe hanno scatenato un terribile fuoco di sbarramento. Piovono granate su Sebrenica, Pasaric, su qualsiasi altura presidiata dai bosniaci. Sulla città i cecchini sono particolarmente cattivi: hanno centrato un autobus, ferito un passeggero e ancora adesso, mentre cala la sera, quello che di prima mattina prende servizio sui grattacieli di Grhavica, quartiere serbo, continua a martellare con la regolarità di un ragioniere. Da stamani, avrà sparato forse trecento volte. I soldati dell'Onu, bloccati a loro volta, hanno avuto ordine di reagire se qualcuno li attaccherà. Quel che resta da capire è se davvero in queste ore l'Armata bosniaca stia tentando di sfondare, di forzare una volta per tutte il blocco della capitale, o se si tratti solo di un attacco dimostrativo, un modo per saggiare gli assedianti. Visto che mi trovo qui, mi viene più facile chiedere cos'altro la sorte potrebbe escogitare per mettere alla prova la resistenza degli assediati. 1 quali, com'è evidente, stanno superando il punto limite, hanno trascorso una settimana a spingere carrelli ricolmi di taniche d'acqua e da ieri mattina sono tornati a vivere come topi. «Si annuncia una bella giornata: prevediamo sole, qualche brezza e una temperatura fra i 22 ed i 28 gradi», annunciava ieri mattina la radio di Stato. Subito dopo, qualche notazione un po' meno ottimistica: «Il ministero degli Interni consiglia a chiunque non debba svolgere funzioni della massima urgenza di rimanere a casa». I pochi negozi hanno chiuso prima ancora di vedere i clienti, i mercati sono rimasti vuoti... E' in vigore il coprifuoco: nessuno può trovarsi per strada dalle nove di sera alle sei del mattino. «Lemon runner» dovrebbe essersela cavata un'altra volta: pare che nonostante la folle corsa tra le macerie, anche questa volta gli «snipers» serbi l'abbiano risparmiato. Ieri mattina c'era anche un gruppo di «Hare Krishna» che ave¬ va programmato un giro in città: Ivan Vrhunc, più noto come Sri Bhaktivedanja, mi aveva annunciato che dalla casa-convento di Saborina, sulla collina di Stari Kovaci, lui e i quindici componenti la comunità sarebbero scesi fino a Bascarsija, l'antico centro turchesco, e di là fino alla centralissima Titova per intonare fra tamburi e campanelli il ritmico «Hare hare». Pare che la polizia non abbia concesso l'autorizzazione: troppo pericoloso. Non per la comunità mistica, ma per la gente che avrebbe potuto essere attirata dal corteo, formando assembramenti che chiedono solo di essere raggiunti da una granata. Peggio, da un missile «Luna»; per ragioni misteriose, la polizia ieri ha fatto suonare l'allarme generale ben tre volte, ed ha fatto sapere che questa volta si temono non le solite bombe, ma i missili serbi. Non ce ne sarebbe bisogno, in fondo. Un vecchio amico che adesso indossa la divisa ha dato il suo contributo a questa folle, rarefatta attesa di catastrofe spiengandomi proprio ieri perché è davvero indispensabile che qui scoppi qualcosa. «Guarda le colline - diceva -, capisci perché non potremmo sopportare un altro inverno di assedio?». Che stupido a non averci fatto caso prima: oltre che di cibo, d'acqua, di medicine e d'ener¬ gia elettrica Sarajevo comincia ad essere priva anche di protezioni naturali. Adesso le alture che circondano la città paiono passate sotto la forbice di un barbiere militare, rasate da valle fin quasi a mezza costa. «Ogni volta che il nostro esercito avanzava, la gente tagliava gli alberi per far legna». Riscaldarsi era essenziale, ma cos'i lo schermo delle foreste si è rarefatto: un altro inverno, e dall'alto Sarajevo si mostrerebbe indifesa come un tavolo da biliardo. «Senti un po', e che si dice del concerto di Vasco Rossi?». Ci crediate o no, in questa vigilia di catastrofe mi sono sentito rivolgere questa domanda. Ero andato alla «Hayal Television» per conoscere le ultime: è li che, proprio di fronte alla biblioteca devastata, sotto a quel cimitero ebraico dal quale i cetnici continuano a martellare il centro, un certo Faruk Caluk mi ha chiesto le ultime sul «rock» italiano. Sapete, Rossi ha annunciato un concerto a Milano con la partecipazione di gruppi bosniaci, un paio degli «special guests» sono già all'estero ma qui molti sperano di ricevere l'invilo. Un invito teorico, poiché ieri hanno chiuso anche il passaggio dell'aeroporto e la strada dell'Igman, dunque la capitale oggi è formalmente quel che nei fatti era da mesi: un'isola con intorno un teorico, irraggiungibile mondo. Già che c'ero, «Hayat Television» ini ha fatto un'intervista dalla quale temo risulterà che un giornalista italiano è appena arrivato a Sarajevo per condurre un'inchiesta sul «rock». C'era anche il leader del gruppo che nell'assedio detiene i record d'ascolto. Si chiama Selen Balie, capeggia i nove componenti del «Sonidos Barbaros», ed ha passato mezz'ora a spiegarmi come nella Sarajevo bellica un gruppo di ingegneri, avvocati e non so cos'altro abbia trascorso mesi a recuperare la musica sefardita, quella portata fin qui nel Cinquecento dagli ebrei fuggiti dalla Spagna, per poi rielaborarla in chiave moderna. Mi ha regalato una cassetta di splendida musica (per capirci, Gipsy Kings in versione classica) e, mentre il «bobooom» delle granate continuava a spargere un'eco agghiacciante, ad un certo punto si è come scosso, è tornato serio e ha detto: «Prima della guerra io trascorrevo le vacanze su un'isola dalmata. Anche noi siamo diventati isolani»... Giuseppe Zaccaria Si dice che l'Armata bosniaca stia marciando contro i serbi La radio urla: «Vietato uscire» Dalle colline piove un fuoco di sbarramento sempre più forte I cecchini non si fermano un attimo In mezzo alla mischia i soldati dell'Onu hanno ricevuto l'ordine di sparare Una colonna di bosniaci, il presidente Izetbegovic e i soccorsi a un ferito

Luoghi citati: Citta' Affamata Sarajevo, Milano, Sarajevo, Spagna, Spalato