Parà ucciso da un mistero di Vincenzo Tessandori
Delitto in una scogliera a Livorno, la vittima 3 anni fa in Somalia era il capo della scorta del generale Loi Delitto in una scogliera a Livorno, la vittima 3 anni fa in Somalia era il capo della scorta del generale Loi Para ucciso da un mistero Massacrato a colpi di pietra LIVORNO DAL NÒSTRO INVIATO «Ti odio, maledetto!», ha urlato. Perché doveva aver dentro tanto di quell'odio da farlo gridare e sollevare come una scatola vuota il macigno. «Ti odio», lì poi giù, un colpo tremendo, sul capo. E l'altro è caduto cosi, fra gli scogli nel silenzio appena rotto dalle onde che si gettano sulla costa, l'accarezzano, la blandiscono. Un paradiso tra Calafuria e il Romito, a Sud di Livorno, un eden trasformato dall'uomo in una specie di inferno, un suk dove si baratta ogni tipo di merce, dove sono leciti gli incontri più illeciti. E' morto cosi, in maniera misteriosa e banale, l'altra sera, il maresciallo Mandolini Marco, di anni 35, per sedici al Col Moschin, gli eletti fra i paracadutisti della Folgore. 1 duri fra i duri. Un delitto che agli occhi del sostituto procuratore Elsa Iadaresta apparo come un maledetto rompicapo. «Le ipotesi sono tante e tutte a vastissimo raggio. Insomma, le piste sono tutte buone e nessuna lo ò». Non hanno mollo in mano, gli inquirenti. C'è quel paracadutista ammazzato, c'è il masso che gli ha fracassato la testa, ci sono sul corpo ferite di coltello o di pugnale, tracce di sangue che risalgono la scogliera, verso la strada. Bisogna ricostruire il passato di un uomo che sembra aver vissuto una vita cristallina. Un soldato, un uomo deciso, uno coraggioso. Uno abile con le armi, di ogni tipo di arma, anche la più sofisticata, dicono, e par quasi un'ironia che l'abbiano ammazzato con una pietra. Un assassinio rozzo, primitivo, all'apparenza neppure premeditato, perché se uno ha deciso di chiudere dei conti è difficile lo faccia con un pugnale e un sasso. E quando ancora c'è luce, quando il buio non ha trasformato la costa in un lupanare maledetto. Ma perché? Per arrivare a una risposta occorre ricostruire tutta una vita. Mandolini Marco, maresciallo dei paracadutisti, nato a Numa in provincia di Ancona il 4 ottobre 1959, domenica, da sette mesi prestava servizio alla scuola internazionale di pattugliamento a largo raggio di Weingarten, piccolo centro fra Monaco di Baviera e il lago di Costanza. Ma prima, come si diceva un tempo, e come dicono ancora alcuni fra i «para», aveva «vissuto pericolosamente». Turchia, Libano, Iraq e Kurdistan Poi la .Somalia, operazione Ibis, dal primo giorno, il 20 dicembre 92. Ma non uno dei tanti, lo avevano scelto per comandare la scorta del generale Bruno Loi: un incarico che soltanto uno che godeva della massima considerazione avrebbe potuto ricevere. E il maresciallo Mandolini quella considerazioni- la godeva per intero. Considerazione e fidu- eia, perché non soltanto era stalo l'ombra di Loi, ma ne aveva condiviso i segreti, era stato suo interprete e segretario. Ed erano giorni, quelli, in cui tutti si giocavano la pelle, lì nel Corno d'Africa. E lui, il maresciallo Mandolini, al ritorno aveva raccontalo un po' di quelle cose suggestive che la gente voleva ascollare. Abitava a Castelfidardo con il padre Vittorio, la madre Lina, tre fratelli e due sorelle. Ogni tanto, almeno, perché la sua vera casa era la caserma, a Livorno. Ai suoi, quella volta, aveva raccontato di un agguato al generale, sventato all'ultimo momento. «Eravamo su una pista in terra battuta, lontani anche dai villaggi. Scorsi una colonna di polvere, mi allarmai. Improvvisammo un posto di blocco, fermammo una Land Rover e il somalo che scese con le mani alzate ci avvertì che poco più avanti ci aspettavano una decina di guerriglieri armali fino ai denti. Li vidi con il binocolo e li attaccammo. Sì, ci fu una sparatoria e li catturammo tutti». «L'ombra del generale» il 21 settembri' 1993 ricevette da Oscar Luigi Scalfaro la medaglia della presidenza della Repubblica. Ne era rimasto toccato: una medaglia, per uno come lui, è qualcosa di più di un semplice «grazie» stampato su un pezzo di metallo. E ora, forse, anche il generale dovrà raccontare agli inquirenti la storia di quel suo sol dato. Dovrà farlo se prima non si arriverà a dipanare una matassa maledettamente intricata. «Ma por il momento non mi passa neppure per la lesta di sentire il generale Loi. Per il momento», esclama con voce preoccupata il sostituto Iadaresta. Per il momento, d'accordo. Ma poi? Perché il maresciallo dei para, Mandolini Marco, era uno che conosceva molte cose, uno «molto informa lo», dice chi lo ha conosciuto in Somalia e lo ricorda bene. E cono- scere i segreti di Mogadiscio tal volta è stalo anche pagalo con la vita. Da Wengarten a Livorno. Era tornalo, cosi pare, perché credeva di avere un'epatite. L'avevano ricoveralo per analisi al padiglio ne IX, quello delle malattie infettive. Ma non aveva problemi di quel tipo, piuttosto lo avevano trovato tremendamente stressato. Sabato era passato dall'ospedale militare e gli avevano dato un mese tondo di convalescenza. Al tli là della sua permanenza in ospedale, ancora s'ignora se ab¬ bia soggiornato in casa di qualcuno. «Stiamo cercando di chiarir lo», dice il sostituto Iadaresta. E intanto ha interrogato una decina di persone. Era i para c'è silenzio, ((itasi un ordine. Solo il tcn. col. Marco Bettolini, Capo (li Stalo Maggiore, ammette: «Si, lo conoscevo. Ma non voglio rilasciare dichiarazioni in attesa dell'in chiesta e io faccio per rispetto ai magistrati e aneli» por rispetto della persona, perché ci vuole, è dovuto il rispetto». Poi aggiunge, con un filo di voce: «E' una situa zinne dolorosa, complessa, pare». Come sarebbe, complessa7 «Non sin cedi lutti i giorni che nel nostro ambiente avvengano degli omicidi. Siamo scioccali». Dal momento in cui ha lascialo l'ospedale a quello del ritrova mento del cadavere e tinta un'ipotesi. Nel pomeriggio di mar ledi, in ogni modo, il sottufficiale e andato fino a Calafuria, sulla vecchia Aureli.i Ha parcheggiato la sua Mercedes Station Wagon accanto al guarii raill, l'ha chiusa accuratamente. Forse aveva un appuntamento con l'assassino, o forse erano già insieme Da poco era piovuto, la zona, di solito af follala da bagnanti fanatici del sole e da pescatori, era elicisi de serta. E' diffìcile credere che Mandolini abbia capito che quelli erano i suoi ultimi momenti Dapprima, l'uomo e il suo assassino devono aver parlato, certo di cose importanti. Ed e finita con l'aggressione. L'altro ha tirato fuori un coltello, o un pugnale, 0 una corta baionetta: ce lo dira, forse, il medico legale, Oggi, dopo l'autopsia. 11 sottufficiale è stato colpiti) alle braccia e alle gambi' Perche si difendeva come un toro e certo non aveva poi troppa pan ra di trovarsi di fronte a una l.i ma. Ma un colpo l'ha raggiunto al fianco sinistro e allora è scivolalo a terra, «Ti odio, maledetto!». E l'assassino gli ha schiacciato la lesta con quella pietra da venti cinque chili. Poi gli ha preso i documenti, il portafoglio. Gli ha lasciato solo, in una tasca, un certi ficaio medico, con nome e cognome. Ed è scomparso. Più lardi, al crepuscolo, un bimbo di dodici anni, Sebaslian Misrahi, di Berlino, ha scorto il corpo fra i massi. Con il padre e la madri; erano appena arrivali per goderei il paradiso in Italia. Vincenzo Tessandori L'assassino gli ha urlato «Ti odio, maledetto» Tra le ipotesi anche quella di una amicizia particolare Paracadutisti in esercitazione
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