PIACERE LUCREZIO

PIACERE, LUCREZIO PIACERE, LUCREZIO Canali «reinventa» il poeta epicureo attraverso un'autobiografia immaginaria DELLA vita di Lucrezio, uno dei massimi poeti di tutti i tempi, sappiamo poco o niente. Secondo una scarna notizia tramandataci da San Girolamo, egli, impazzito per un filtro amoroso, si sarebbe ucciso all'età di quarantaquattro anni intorno al 50 a.C. Ma è probabile, come pensano alcuni studiosi, che qui si tratti di una leggenda messa in giro dai cristiani per screditare il poeta epicureo che aveva assestato colpi micidiali a ogni forma di religione. In altre parole i cristiani, maestri insuperabili nel calunniare, come dimostra anche il loro atteggiamento verso Giuliano l'Apostata, avrebbero inventato la pazzia e il suicidio del poeta per far credere che la vendetta divina offusca il cervello degli empi. Ma se gli of- ciona. Da simili genitori è difficile che nasca un Lucrezio. Qui occorre citare Schopenhauer, il quale dice che tutto dipende da come uno è uscito dalle mani della natura, da quale padre l'ha generato e da quale madre l'ha concepito: «Non si scriverà un'Iliade, se si è avuto per madre un'oca e per padre un cialtrone». E' vero che alla fine Publio si riscatta e muore con dignità al seguito di Catilina, però non si capisce perché non si debba dare al grande poeta una prosapia più acconcia. Quando Nietzsche mandò una sua fotografia al danese Brandes, questi gli scrisse: «Il ritratto avrebbe potuto essere migliore. Lei deve avere un aspetto diverso: chi ha scritto Zarathustra deve avere molti più misteri nel suo volto». Esattamente la stessa cosa si potrebbe dire dopo aver letto questo libro: l'autore del De rerum natura doveva essere molto E' una tesi piuttosto romanzesca, anche se non la si può escludere in assoluto. Del resto la Campania ha sempre fornito o geni o, come per legge di compensazione, lazzaroni. E forse non è un caso che Giordano Bruno, anche lui campano, abbia saputo avvertire meglio di chiunque altro lo spirito tragico e cosmico di Lucrezio, fino a prenderlo come modello per i suoi poemi latini pubblicati a Francoforte. Tutto negativo, dunque? Assolutamente no, anche perché qui si respira pur sempre l'aria rarefatta dell'alta cultura e non quella, mefitica, di tanti romanzacci o romanzetti. Ci sono dei passi molto belli e anche di grande energia intellettuale, che fanno dimenticare tutto il resto. Alludo, in modo particolare, alle nobilissime parole che Canali fa dire a Lucrezio in difesa degli animali: «Rifiutavo di cibarmi di carni di animali uccisi, di cui piangevo la sorte e l'infinito e perenne dolore in quanto creature sensibili e indifese, destinate (da chi? dagli dèi? ma quali dèi se non quelli farseschi e talvolta cialtroni della corte olimpica?) alla soddisfazione del più elementare bisogno dell'uomo, quello del cibo, ma spesso anche ai suoi truci divertimenti, la caccia per diporto... semplice e ignobile piacere di torturare, uccidere, assistere con morboso piacere alle atroci sofferenze dell'agonia altrui». Chi pensa così non solo rivela una grande sensibilità, ma dimostra anche di essere un filosofo e di aver intuito l'intima parentela fra tutti gli esseri viventi, fenomeni diversi di un'unica esistenza universale. Ma andate un po' a farlo capire ai chierici, che dai loro pulpiti continuano a smarronare sullo stupido e stantio dualismo uomo e animale. Anche l'amore sessuale, in quanto istinto e spirito della specie che trascende l'individuo, è comune a tutti gli esseri viventi; e proprio Lucrezio, forse l'unico fra gli antichi, ne intuisce il carattere metafisico. Né c'è bisogno di attribuire a chissà quale «vendetta» la sua dissacrazione della donna e dell'amore. Chiunque, in una disposizione di spirito elevata, pensa con un certo disgusto a ciò che combina quando è in preda alla fregola furiosa. E senza essere, per questo, un nevrotico. Si legga, al riguardo, la profondissima Metafisica dell'amore sessuale di Schopenhauer (Bur). Anche se non sappiamo niente della sua vita e della sua persona, Lucrezio è e resta una delle voci più alte della letteratura mondiale. Il suo poema, che si chiude con l'atroce descrizione della peste di Atene, suona come una forza della natura e ammonisce i poveri figli della terra a non farsi troppe illusioni. Meglio ancora, è un tuono che scompiglia l'ottimismo costituito in cui amiamo cullarci. fuscamenti consistono nello scrivere un'opera come il De rerum natura, allora viva gli offuscamenti! Ora Luca Canali, latinista di gran nome, ci fornisce una «autobiografia immaginaria» di Lucrezio: Nei pleniluni sereni. Mi ci sono precipitato sopra con ingordigia, dato l'argomento e dato l'autore; ma già l'incipit, il primo boccone, mi è andato di traverso: «Figlio casuale e malvisto, nacqui da Publio Lucrezio Caro, meglio noto come Lucrezio Lupo, delatore al servizio di Siila, e da Diotima, sua giovane schiava». Sommessamente, molto sommessamente, perché non sono così imprudente da entrare in polemica con uno studioso della statura di Canali: chi legge il De rerum natura ricava l'impressione, per non dire la convinzione, che il suo autore appartenesse a famiglia aristocratica, non che fosse figlio di un sicofante e di una schiava abbastanza sporcac- più solenne e comunque diverso dall'annoiato sfregolaputtane che qui ci viene presentato. Non manca neppure un pizzico di pederastia, il che, come il basilico o il rosmarino, non guasta mai. D'accordo, si tratta di un libro fittizio, di un romanzo; ma anche come romanzo mi sembra piuttosto mencio, almeno in parte. Da uno stilista come Canali, che quando vuole sa spiccare grandi voli, ci si aspetta di più, molto di più. Si ha la sensazione che questa volta abbia scritto troppo in fretta, il che spiegherebbe alcune incongruenze. Per esempio, come fa il filosofo epicureo Filodemo, la cui «vista non è più buona come un tempo», a vedere dalla finestra, e di notte per giunta, che il giovane Lucrezio ha l'aria triste? Il libro è ambientato per buona parte a Ercolano e Pompei. Evidentemente Canali accoglie la tesi del Della Valle, secondo il quale Lucrezio sarebbe nato a Pompei. mmm La classe politica e i suoi vizi: denaro e show, allora come oggi per catturare voti Metafisica dell amore tra Ercolano e Pompei, la natura come monito per vivere senza illusioni Anacleto Verrecchia Luca Canali Nei pleniluni sereni Longanesi pp. 170, L. 24.000 trovavano fianco a fianco con i naturali nemici della loro classe e dei loro ideali», fino a far uscire dal suo seno alcuni rinnegati unitisi alla schiera di quelli di destra nel servizio ai tedeschi. Così alla fine Bloch leva il suo grido d'angoscia: «Ci troviamo oggi in una situazione spaventosa: il destino della Francia non appartiene più ai Francesi. (...) Che sarà di noi se la Gran Bretagna sarà a sua volta sconfitta?». Per dare una risposta, il celebre professore non si chiuse nel pessimismo intellettuale. Prese la strada della Resistenza, della clandestinità e della morte. Marc Bloch. Un grande storico, un eroe del nostro tempo. Massimo L. Salvador! Marc Bloch La strana disfatta Testimonianza del 1940 Einaudi, pp. 225, L. 34.000

Luoghi citati: Atene, Campania, Ercolano, Francia, Francoforte, Gran Bretagna, Pompei