Con Craxi dai trionfi alla disfatta
Con Craxi, dai trionfi alla disfatta Con Craxi, dai trionfi alla disfatta Per 15 anni proconsole piemontese del psi TRA POTERE E TRIBUNALI ICEVA: «Sto alla finestra, il tempo e galantuomo». Era il suo passe-partout per sfuggire a chi gli chiedeva dell'inchiesta di turno. Quell'atteggiamento gli aveva portato bene ai tempi del primo, grande scandalo di tangenti, la Zampini story. Dopo duo condanne, la Cassazione lo aveva assolto. Una finestra sulla città, Giusi La Ganga l'aveva avuta anche fisicamente. E che vista: piazza San Carlo. Nel periodo di maggior fulgore lavorava nel centro studi in cima allo stabile Ina, tra via Maria Vittoria e via Roma. Che anni, gli Anni Ottanta: era il padrone del garofano piemontese, crocevia obbligato di ogni scelta per Torino. Le sue intuizioni diventavano progetti, i suoi candidati sindaci (Magnani Noyal, assessori (Lerro, Matteoli), deputati (Garesiol. Lui, figlio di un cancelliere di Messina trasferitosi a Rivoli, al psi si era avvicinato giovanissimo. «Sono socialista da quando avevo i pantaloni corti», diceva orgoglioso. Un patriota di partito, non «un enfant prodige». La stazza, il barbone, il vocione non gli hanno mai attratto tenerezza. Ma incuteva timore, tra amici e avversari. E poi quel cognome. Un suo ricordo dell'Università: «Era il '68, suonai e il custode chiese: "Chi ò?"; La Ganga. "La Ganga di chi?"». Nell'83, in seguito allo scandalo-Zampini, conquista la prima pagina in una vignetta di Foratimi. Sigaro in bocca, doppiopetto gessato, in seconda fila, dietro a Bettino Craxi, a fianco di Martelli, De Michelis, Formica. «Arriva La Ganga». E La Ganga è arrivato in alto. Una gavetta politica rapida, ma vera, fatta di tanti gradini. L'iscrizione alla massoneria? «Quella non ha mai contato nulla» diceva. Eppure fu protetto (o forse danneggiato! da un «fratello» che cercò di nascondere la tessera agli inqui- renti mentre perquisivano l'archivio degli affiliati di piazza Vittorio. Assistente universitario di Franco Reviglio, segretario dei giovani socialisti, del Club Turati e poi della federazione provinciale. A 31 anni (1979) si presenta alle elezioni con un manifesto firmato da illustri intellettuali: «Figura nuova di uomo politico, merita fiducia, per l'onesta intellettuale, per l'impegno civile e la competenza. Lo voteremo». Strada facendo molti si pentono. Lui no, lui avanza. Eletto per tre legislature, mai un ministero (colpa di quel maledetto '831. Ma e il responsabile enti locali psi e, infine, capogruppo alla Camera. Quando potrebbe raccogliere di più, il garofano appassisce, perde un petalo dopo l'altro, entra in agonia. Lui ò al capezzale, a tentare ogni cura. Nel novembre '92 dedica il numero de «La questione sociale», da lui diretta, a «Come cambiare le regole del gioco». Invita a «togliere i difetti e lasciare quel che c'è di buono». Troppo tar¬ di. Craxi è travolto dalle indagini milanesi, Giusi è tra i più attivi sponsor di Benvenuto. Poi arriva Del Turco: addio psi, mentre nuovi filoni d'inchiesta lo obbligano a parlare con i giudici. I soldi servivano per le campagne elettorali, per le correnti, per le sedi, anche quella del partito, in corso Palestra. Bettino gli diceva «i contributi finiscono lì», e si era infuriato con Giusi quando aveva accettato il patteggiamento. Una (delle poche! disubbidienza da 500 milioni. Lo si rivede passeggiare in centro. Solo. Coppola e giaccone verde, come ai tempi dell'Università. Un libro sottobraccio. «Che Paese! Cambiare tutto per non cambiare niente. Solo noi paghiamo. Siamo quelli che piii abbiamo cercato il cambiamento, la modernizzazione dell'Italia». Aspetta «la ragione del tempo», collabora con un'immobiliare, ma non riesce a star lontano dalla politica. Lo invitano, otto mesi fa, a Roma a presentare la «sinistra liberale» ed eccolo pronto, con Giuliano Ferrara, Massimo Pini, Maurizio Sacconi. Alle regionali chiede spazio per gli amici «riformisti», Forza Italia rifiuta, Palmella no, accoglie Buemi, Femia, Fiumara, Maviglia. E, quando parla Marco, Giusi torna in mezzo agli amici dei bei tempi. Ma questa volta la piazza non se la gode più dall'alto. Luciano Borghesan I primi guai giudiziari ai tempi di Zampini poi la nomina a responsabile degli enti locali Nuove inchieste e patteggiamento da record «Ora sto alla finestra, il tempo è galantuomo» Da sinistra l'ex sindaco Maria Magnani Noya e l'ex assessore comunale alle Grandi Opere (metropolitana, passante ferroviario) Ricciotti Lerro Giusi La Ganga e Bettino Craxi. Un binomio che ha retto per molti anni: al suo proconsole torinese il segretario del psi affidò la responsabilità degli enti locali, ossia il controllo sulle giunte di tutta Italia Giuseppe Garesio: all'epoca d'oro era considerato il delfino di La Ganga. Resse la segreteria regionale e fu eletto deputato
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