Ombre felliniane accendono i plexiglas di Rosenquist di Marco Vallora

Esplode a Trieste l'accademico della pop art Esplode a Trieste l'accademico della pop art Ombre felliniane accendono i plexiglas di Rosenquist NTRIESTE O, proprio non stanno nella pelle della pittura, le immagini di James ! Rosenquist, che hanno invaso come un allegrissimo incendio le geniali e modernissime sale che Carlo Scarpa aveva progettato per il Museo Revoltella. Montaggio impazzito di occhiali parodici (l'inutile sguardo dello spionaggio militaresco: appunto Military Intelligence, del '94) saltano fuori dalla carta quasi cavallette indiavolate, su uno sfondo bruciante come di Fahren heit 451. Era già una antica preoccupazione del maestro pop, quella di «sfuggire al vecchio spazio pittorico». «Corco di dipingere ciò che nasce; nei miei pensieri, liberandomi da qualsiasi condizione che possa imporro limiti ai miei dipinti». Ma qui il processo è ancora più avanzato, perfezionando l'euforica «ricerca finalizzata a trovare maggior spazio sulla tela». Cosi non c'è più solo l'enigmatico montaggio di frammenti di corpi o di storie «dislocate», com'era nelle sue prime tele di collages dipinti, ma davvero si dà spazio ai percorsi mentali, ai processi della mente. Come negli ultimissimi quadri (se è ancora possibile chiamarli così) di plexiglas, che contengono nella loro vitrea trasparenza un'immensità colorata di «budelle» cartacee, quasi una foresta aggrovigliata di circuiti elettrici, un'imbizzarrita parrucca di listelline ritagliate a tagliatelle, che fuoriescono anche bizzose dal limite soffocante della cornico. E possono ricordare, da un lato, il pantagruelico pasto d'uno di quei tritura tori di documenti che cancellano così ogni traccia di misfatto, oppure quel senso felliniano di festa finita e fredda, da Vitelloni 1995, quando non restano in scena che le spoglie svilite dell'euforia e del carnevale. Como entrare dentro la carne colorata e immaginaria di un computer. Talvolta la carnagione di questi spaccati elettronici ò come ferita da un realistico taglio alla Fontana: e là dentro, in senso perpendicolare al quadro, sporte verso di noi, ruotano delle lancette monitorie, che invitano il tempo nell'opera. Talaltra (compiaciuta antocitazione) questi enormi, sospesi cervelli di plexiglas sono come sorgeltati da un realissimmo filo spinato d'acciaio, che quasi li trasforma in scultura, oppure attraversati da finestrelle che si aprono nel vetro, e che provocano ulteriori effetti di trasparenze. E' del resto l'antica passione del pellucido, del balucinante, che è quasi la sigla distintiva di Rosenquist. Per esempio, prende dalla strada, classico objet troìivé, una testa spiccata di bambolina con tratti giapponesi e ce la mostra attraverso le pieghe illusive d'un sacchetto di plastica, con virtuosistici effetti di cangiantismo, abilmente dipinti Serenata alla bambola omag gio a Debussy, rivela il titolo significativo: ma ovviamente un Debussy cellophanato all'epoca di Christo e della polluzione universale, dei macabri teli con cui la civiltà asettica di oggi vuol separarsi dai corpi in odore di Aids, dei televisivi suicidi di piccoli irresponsabili, che ficcano la testa dentro il forno d'un sacchetto di plastica. (E lui stesso cita gli effetti di trasparenze dèlie ninfee di Monet). In fondo, il suo rompere le prospettive è una sorta di barocco contemporaneo, come dimostra la grande tela sul Sa ero Romano Impero, affollarsi di porzioni di Sguardo senza vere connessioni scalari, rebus visivi che non permettono una soluzione ottica immediata. Il mondo sfreccia via, senza che sia possibile fotografarlo, guardato come dal bombardiere jet di F-lll: pupille dilatate dall'anfetamina della vita, matite che diventano siringhe da drogati, pianeti virtuali che rotolano sul tappeto del cosmo, magari decorati a pois, come le scarpette appena acquistati; dalla moglie, nel pili vicino supermercato. Marco Vallora

Persone citate: Carlo Scarpa, Debussy, Monet, Rosenquist

Luoghi citati: Como, Trieste