Miller un lupo americano a Parigi di Gabriella Bosco

Entusiasmi, furori, battaglie: il carteggio dello scrittore proibito con il suo grande amico francese Cendrars Entusiasmi, furori, battaglie: il carteggio dello scrittore proibito con il suo grande amico francese Cendrars un lupo americano a Parigi /v~l ARIGI I I UATTRO chili di pàté e I I cinque litri di vino d'Ali1 I jou. Come un lupo affama_ VJ to, Henry Miller se li fece V fuori senza quasi prendere fiato. Fu «l'incredibile exploit» con cui strabiliò Blaise Cendrars un giorno del marzo 1935 in un bistrot della rue du Mont-Thabor, a Parigi, dove lo scrittore francese aveva invitato l'americano avendolo visto, un po' male in arnese, trascinarsi sul marciapiede, la barba lunga, scuro in volto. Un incontro casuale, il secondo tra i due uomini, che veniva in seguito a una serie di convenevoli per lettera iniziati già un anno prima. Allora, senza conoscerlo ma consapevole del suo prestigio e dopo aver divorato il suo sconcertante poema in prosa Moravagine, Miller aveva scritto al «grande» Cendrars, direttamente in francese, una lettera di accompagnamento per Tropico del Cancro: gli chiedeva un parere. Ne nacque un'amicizia profonda di grande sostegno reciproco tra Miller e Cendrars, che pur senza vedersi praticamente più una volta tornato Miller negli Stati Uniti nel '40, continuarono a scriversi fino alla morte di Cendrars con dedizione come fraterna. L'epistolario, faticosamente ricostituito dalla figlia di Blaise, Miriam Cendrars, dopo la scomparsa di Miller nel 1980, viene ora pubblicato dall'editore Denoél (Correspondance], ed è un gran pezzo di storia letteraria che ci viene regalato. Dopo quella prima lettera di Miller, letto il manoscritto di Tropico del Cancro, Cendrars si era presentato alla porta dell'americano - al suo confusionario domicilio parigino dell'epoca, Villa Seurat. Erano le 3 di un freddo pomeriggio di dicembre, Cendrars si portò Miller per le vie della città l'ino all'ora di cena, e poi al ristorante a Montmartre e poi ancora in giro nella notte fino al mattino. Rientrato a casa, Miller non potè tenersi dallo scrivere a Anais Nin di quell'incontro inatteso che l'aveva messo in stato di febbrile entusiasmo. «Che giornata! Che notte! E' il più magnifico omaggio che io abbia mai ricevuto da un uomo, da uno scrittore, voglio dire. Non posso descrivere tutti i dettagli dell'incontro. E' troppo vasto. Epico». Miller temette di non essere stato all'altezza: «Come uomo devo averlo deluso, non ho detto quasi nulla». Ma l'eccitazione sovrasta: «Il più bel momento della mia vita, in un certo senso», scrisse a Anais. «Ha un braccio solo (l'altro l'ha perso in guerra). L'ha passato affettuosamente intorno al mio collo e ha raccontato al ristorante che gran tipo io sono, di che cosa parla il mio libro, perché deve essere pubblicato in francese... E' un uomo vero, forse l'uomo di cui ho scritto recentemente, quello che attendevo mi apparisse e mi facesse cenno». 1 due erano entrati in immediata sintonia. Le lettere che presero a scambiarsi sono incoraggiamenti vigorosi da parte di Cendrars, testimonianze di stima immensa da parte di Miller. Il quale sempre, da quel primo incontro all'ultimo, quando ormai lo scrittore francese giaceva in un letto semiparalizzato e prossimo a morire, rimase soggiogato soprattutto dalla «possente umanità» dell'amico. «Ogni volta che finisco un vostro libro gli confidava nel '38 - mi dico la stessa cosa: il più umano di tutti gli scrittori che io conosca». Una decina d'anni dopo ebbe la sensazione di sentirsi sopraffatto: «La vostra qualità umana è straripante. Sono in vostra balia. Chiedo pietà... respiro!». E ancora, nel '49: «Mi sembra diventiate sempre più umano, incolume da considerazioni metafisiche. (...) Chi è l'essere emancipato? Colui che è più umano». Quel secondo incontro, quello dei quattro chili di pàté, era avvenuto in un momento difficile per Miller, in cui i soldi erano pochissimi, i riconoscimenti ancora nulli, Tropico del Cancro vietato negli Stati Uniti. Ma erano anche gli anni ricchi della frequentazione di Raymond Queneau, del fotografo Brassai, poi di Lawrence Durrell, oltreché della vicenda con Anais Nin. «Scoprendo Parigi, respirando Parigi - scrisse Cen- drars in un articolo per presentare la traduzione francese di Tropico del Cancro - Miller divora Parigi, ne mangia, furioso, vomita, piscia la città, la adora e la maledice fino a sentire oscuramente che fa parte lui stesso del popolo straordinario delle vie di questa grande città». Il secondo gruppo di lettere, il più corposo, riprende dal '46 in seguito all'interruzione della guerra. Miller ha comprato una casetta di legno sulla costa del Pacifico, a Big Sur. Cendrars è a Aix-en-Provence, dove la guerra l'ha spinto: «Come vedete - scrive a Miller - i boches (tedeschi, ndr) non hanno avuto la mia pelle». Quell'anno Miller era stato oggetto di violenti attacchi in Francia. L'Action morale et sociale aveva citato in giudizio lo scrittore chiedendo che le sue opere venissero condannate in nome del Codice della famiglia: «In nome della medicina, della salubrità, della salute pubblica... Bisogna spazzare via l'immondizia dalle librerie, i tribunali devono colpire energicamente e in fretta, la Francia non deve diventare il rifugio della pornografia, gli editori dovrebbero fare loro stessi l'epurazione...». Gli editori francesi di Miller, invece, Girodias e Nadeau, insieme ad altri amici come Bataille, Breton, Eluard, si erano uniti in comitato di difesa. E il processo a Miller era saltato. Le sue opere continuavano però a es- sere proibite in America (e lo furono fino al '50). Il rapporto epistolare, più che mai di sostegno reciproco, si fa a questo punto soprattutto resoconto dei tentativi vicendevoli di fare propaganda nel proprio Paese: Miller negli Stati Uniti per Cendrars, Cendrars in Francia per Miller. Ottiene maggiori risultati Cendrars, Miller riesce a fare poco perché l'amico venga tradotto, i suoi rapporti con gli editori americani non sono per nulla distesi: «Abbasso gli editori», scrive a Cendrars. «Se fossi ricco, cercherei di stampare io stesso tutti i libri che amo e che gli editori trovano sbagliati o invendibili - e sono certo che con un po' di pazienza troverei un mondo di lettori sconosciuti». Cendrars per parte sua: «Gli editori sono i più grandi nemici degli scrittori. Vogliono sempre la stessa cosa: il successo!». Miller ò entusiasta delle pagine dell'amico su Joseph De Cupertino, l'asso dell'aviazione «che volava rinculando». Ed è senza parole per la metodicità di lavoro di Cendrars, che scrive due ore ogni giorno, al mattino appena sveglio, e poi si dedica a leggere, vivere, bere e mangiare. Lui, Miller, altro non riesce a fare che «dormire come un maiale». La moglie del momento è polacca (Janina Lepska): «Una lingua molto, molto bella. Ma non ne capisco una parola», scrive a Cendrars. Miller ha nostalgia, li a Big Sur, degli anni trascorsi a Parigi: «Mi manca la passeggiata notturna. E i bistrot. Quando si esce di casa qui si è in piena campagna. Dalla mia finestra vedo sempre l'immenso orizzonte del Pacifico - quasi sempre vuoto. Le montagne sono secche come la pelle di un rinoceronte. A Parigi io avevo l'abitudine di uscire immediatamente dopo cena e battere le strade. Qui il silenzio è immenso, E' l'atto per gli animali» Ma soprattutto Miller si dice esasperato di non riuscire a far nulla per Cendrars. «(ìli editori! Mi fanno uscire pazzo. Che inerzia! Chi; cinismo! E' rivoltante. Per i miei libri me ne frego Ma per i miei amici, quelli che spesso sono ben migliori di me... Se trovo un bel libro, io voglio condividerlo con il mondo intero... Mi maledico, perché non possiedo i doni di un Napoleone!». destino delle opere di Miller in Francia, si? incontra meno ostacoli sul piano editoriale, è cornuti que un percorso di guerra. Per aver parlato di Miller alla radio, Cendrars si è preso «fino n ora tre minacce di mone! Evviva la liberta...». E' il 1950. «Un buon consiglio - scrive a Miller -. I giornali parlano di un vostro ritorno a Parigi questa primavera. Non venite! Io vivo agli antipodi del mie mac "etterario. Ma credo di poter dire che se venite in Francia rischiate di farvi sbattere in prigione... in onore del mezzo secolo». Cendrars non approva tutto, dell'amico. Quando legge Sexiis, scrive laconico a Miller: «libro senza poesia». Miller gli risponde: «Frater semper... sempre vostro». In realtà la durezza di Cendrars in quell'occasione l'ha ferito. Solo qualche tempo dopo, rendendosene conto, Cendrars gli scrive: «Non so come scusarmi. Ci sono cose misteriose che gli uomini subiscono e fanno a loro insaputa, senza intenzione di far male. Ed è proprio il male. La sporca natura dell'uomo». «Il vostro cuore è pieno di tenerezza», risponde Miller E torna a scherzare, questa volta su come i giapponesi hanno tradotto Plvxus: «Il secondo tomo per primo. Perché? Perché secondo i giap, se fosse uscito per primo il tomo primo, nessuno avrebbe comprato il tomo secondo!». Miller rivedrà l'amico, a Parigi nel '59, immobilizzato in un letto, «gigante folgorato... prigioniero». Lui che non si spiega la propria salute, con tutto quello che beve («Incredibile, forse sono i miei ormoni femminili? Ho sempre voluto essere donna»!, continua a pensare con malinconia dolce ai lontani anni della miseria. Quelli in cui, a Parigi, aveva conosciuto Cendrars: «I nostri amici erano cinesi, polacchi, russi. Il cinese sempre pronto a darci da mangiare. E il pane era meraviglioso - pane ebreo o russo!». Si commosse alle lacrime sfogliando il libro su Parigi di Cendrars, La banlieue de Paris, con fotografie di Doisneau. Il capitolo sulle fabbriche, soprattutto. «Siete un mago», gli scrisse. Gli mancarono infinitamente, poi, quelle lettere che sempre il francese aveva firmato «ma main amie», la mia mano amica, «Blaise Cendrars». Gabriella Bosco «Chegiornata, che notte! Sono in sua balia» «Abbassogli editori: sono i nostri più granili nemici, mi fanno uscire pazzo» Henry Miller in un'immagine degli ultimi anni: lo scrittore è morto nel 1980. Alla destra del titolo, Blaise Cendrars