Voci dal mondo segreto chiamato Rain Man di Marco Neirotti

ALBUM WWSA Un giovane sofferente di autismo racconta, attraverso il computer, emozioni e speranze Voci dal mondo segreto chiamato Rain Man «Ci dovranno dare un posto per vivere in mezzo a voi» ~pT\ OMPONGO solo adesso A < una poesia sulla gioia del I parlare/una poesia per auI i tistici muti da cantare nei is I centri e nei manicomi». Proprio il silenzio, squarciato talora da urla, è uno degli stereotipi dell'autismo, il silenzio in quanto comunicazione autonegata. Come lo è lo sguardo buono e dolente di Dustin Hoffman in Rain Man, il film di Levinson. 0 quella straordinaria capacità di memorizzare numeri o parole. 0 la ripetitività di gesti, espressioni. Ma che cosa c'è dietro questi «simboli»? Che cosa pensa lui, il «paziente»? Lo rivela un giovane sofferente di autismo che, con un computer, racconta senza aprir bocca il proprio universo. E' Birger Sellin, tedesco, 22 anni. I versi appena citati, scritti nel '92, aprono un libro che raccoglie il suo crescendo di comunicazione, Prigioniero di me stesso, che Bollati Boringhieri manda in libreria. Quella poesia è uno straordinario punto d'arrivo. L'inizio è tutt'altro: «abcdefghijklmnopqrstuvwz birger papà jonasmamma», le prime parole scritte alla tastiera il 27 agosto 1990. E, l'indomani: «zhietypahwbb nonna nonno ffamiglia». E' un cammino graduale - segnato da ricorrenti «smettere» o «non più scrivere» che porta a riflessioni, confessioni, confronti, desideri e sfoghi pacati ma fermi per la «prigionia»: «Sono solo una figurasenzame che è uscita dall'oscurità del mondo autistico per prendere contatto con terrestriumani della sua specie, ma non posso essere partecipe della sua vita perché il mio mondo mi tiene ancora prigioniero». Il prigioniero Birger Sellin nasce il 1° febbraio '73 a Berlino Ovest. Nell'ottobre '74, a quasi due anni, quando i genitori lo portano all'asilo nido e tornano a riprenderlo dopo due ore, lui «grida come un ossesso», fuori da ogni logica aspettativa. Seguono disturbi diversi, dalle otiti al vomito, e anche il linguaggio regredisce. Subentra la trafila di visite mediche, soprattutto psichiatriche. Alle parole si sostituirono urla disordinate. A quattro anni, quando Birger non comunica più, la diagnosi definitiva: autismo. Una dettagliata - soprattutto documentata e affettuosa - prefazione del giornalista che ha letto i testi e ne ha proposto la pubblicazione (Michael Klonovsky, della Zeit) racconta le tappe della vita di Birger e della sua famiglia e sintetizza, in modo semplice, gli studi spesso contraddittori e a volte complementari, tutte le conoscenze e i dubbi sull'autismo, al di là delle immagmi cmematografiche o sensazionali. Certo, il giovane Sellin conferma le doti del Dustin Hoffman che contava i fiammiferi in un attimo o mandava a memoria pagine della guida del telefono. Se fa tenerezza il suo monotone gioco con centinaia di biglie, lascia sconcertati l'unica frase che pronunciò - rompendo il mutismo quando il padre, per scherzo, gliene portò via una. Dopo una rapida occhiata alle sfere sparse sul pavimento, disse: «Ridammi la biglia». Poi, di nuovo silenzio. I Birger Sellin, in Italia, sono oltre 25 mila (una femmina ogni quattro maschi). E la scienza fatica a viaggiare nei loro pensieri. Questo libro, che è anche poesia per lettori estranei al problema, può essere documento per i ricercatori. Il ragazzo, che scrive se qualcuno gli regge il braccio (più , er un contatto che per un aiuto materiale), parte da inimagmi bloccate quasi casualmente, «anitra anitra, pacco nido uova», per passare a una sorta di diario dei fatti, «per la prima d'avvento a birger e jonas regalano una casa di panppepato». Parla di sé in terza persona. Poi passa alla prima persona, esprime sentimenti verso chi lo circonda e lo aiuta, contesta i rimbrotti e, con periodi sempre più lunghi, rivela quanto un autistico recepisca in modo nitido, complesso, delicato tutto ciò che si dice e si fa intorno a lui. Fino a una padronanza non tanto del linguaggio quanto dei sentimenti. Una barriera si è abbattuta, dunque, ma perché con il computer e non con la voce? Secondo il professor Francesco Monaco, docente di neurologia all'Università di Sassari e di neurofisiologia alla Scuola di Specializzazione dell'Università di Torino, «il computer è per definizione lo strumento più freddo, con meno implicazioni affettive». Quasi Birger avesse voluto «aprire una porta, ma ancora evitando tutte le implicazioni emotive che la comunicazione comporta». Comunque, un passo «straordinario». Straordinario come i suoi versi, dedicati a quanti vivono il silenzio: «Canto la canzone dalla profondità dell'inferno e chiamo tutti i muti di questo mondo / fate di questo canto la vostra canzone // sciogliete i gelidi muri / e rifiutate di essere emarginati/vogliamo essere una nuova generazione di muti/una schiera con canti e nuove canzoni / quali i parlanti non hanno mai udito/ .J ci dovranno dare un posto dove possiamo vivere in mezzo a voi tutti/in una vita in questa società». Marco Neirotti Dalle prime parole incomprensibili alle drammatiche invocazioni d'aiuto Qui accanto: Dustin Hoffman in una scena di «Rain Man»

Persone citate: Birger Sellin, Dustin Hoffman, Francesco Monaco, Levinson, Michael Klonovsky, Sellin

Luoghi citati: Berlino Ovest, Italia