Quelle sette domande che evitano una tragedia di Francesco Grignetti

Quelle sette domande che evitano una tragedia Quelle sette domande che evitano una tragedia UN TEST ANTI-TRUFFE CROMA ONTRO l'Aids, più che i test, possono le interviste. E' la morale dell'ultimo caso drammatico di contagio. 11 donatore P. A., infermiere professionale di 48 anni, ha nascosto la verità quando gli hanno chiesto se aveva avuto comportamenti a rischio. Lui ha detto no e invece era sì. Poi, siccome aveva contratto il virus da pochissimo tempo, il suo sangue è passato indenne anche al test. E così quella donazione ha infettato due persone. Colpa della tristemente conosciuta «fase finestra». Vale a dire quei due-tre mesi in cui il virus Hiv c'è, ma non si vedono ancora gli anticorpi. Per combattere contro la «fase finestra» ci sono ben poche strade. Due sole le vie: o i test di ultima generazione detti «Per» - che l'Istituto superiore di Sunità non ha ancora accettato pienamente - e che individuano il virus e non gli anticorpi; oppure un sistema di interviste molto più sofisticato. Una domanda ben posta, infatti, molto spesso vale più di ogni laboratorio. Ma il problema e che bisogna entrare nella «privacy» del donatore. K quindi l'intervistatore devo essere mezzo psicologo e mezzo sociologo. Non un semplice medico, dunque. E proprio questo insegna il caso del donatore bugiardo: se l'intervista pre-donazione si riduce a una formalità burocratica, o peggio a un arido questionario da compilare, non serve proprio a niente. L'infermiere in questione, infatti, sentendosi osservato in un ambiente dov'era ben conosciuto, ha preferito nascondere una scappatella extraconiugale. E cosi è stato il dramma. A seguire la legge, infatti, bastano sette domande. Il donatore, più o meno direttamente, è invitato a confessare le sue trasgressioni. Lei - chiedono brutalmente - ha avuto a che fare con droga, rapporti omosessuali, rapporti sessuali con persone sconosciute, malattie veneree, epatite, ittero, o sifilide? Guardi che è sufficiente una seduta dal dentista negli ultimi sei mesi per scartarla, sa? Davanti a questo fuoco di fila, le persone oneste, se hanno qualcosa da ammettere, raccontano. Ma poi si incontra un P. A. ed ecco i risul- tati. Ma c'è un'altra maniera di condurre queste interviste. A fare scuola è il centro trasfusionale della Croce Rossa. Qui lavora un gruppo di giovani intervistatori-sociologi che ha messo a punto un questionario molto più sofisticato. Tanto per cominciare, non fanno mai domandi.' dirette sulla sfera privata del donatore. Aggirano l'ostacolo. Dicono: a noi non interessa il suo comportamento sessuale, ma quello di una rosa di persone. E elencano: lei, il suo partner, i suoi partner occa- La Croce Rossa «Così riusciamo a smascherare i donatori bugiardi» Una corsia del Policlinico Umberto I di Roma Nella foto piccola l'immunologo Ferdinando Aiuti sionali, anche l'«altro» o Inoltra» del suo partner. Dunque, di questa rosa, qualcuno potrebbe aver avuto rapporti sessuali a rischio? Magari un amore di strada? «L'intervistato - spiegano i sociologi - si nasconde dietro la rosa dei sospetti, ma almeno dice la verità». Naturalmente questo metodo porta a scartare molti più donatori che un'intervista formale. Ma almeno ha il pregio di limitare il rischio davvero al massimo. E infatti il centro trasfusionale della Cri vanta di non aver mai avuto un caso di contagio collegabile ai «suoi» donatori. Comunque non è che i P. A. siano dietro ogni angolo. «E' l'unico veramente clamoroso che si sia verificato in una struttura sanitaria del Lazio», dice il direttore prò tempore dell'Osservatorio regionale epidemiologico Francesco Forestiere. E aggiunge il professor Fernando Aiuti, che ha in cura il bambino di otto anni che fu contagiato con questa disgraziata trasfusioni;: «Interpretiamo questo caso come un invito a tutti i donatori ad essere più sereni e coscienti». [fra. gri.l Francesco Grignetti

Persone citate: Ferdinando Aiuti, Fernando Aiuti, Francesco Forestiere, Umberto I

Luoghi citati: Lazio, Roma