Donatore nascose dì avere l'Aids

Roma, l'«untore» è un infermiere che non voleva rivelare alla moglie di averla tradita Donatore nascose dì avere l'Aids Roma, l'«untore» è un infermiere che non voleva rivelare alla moglie di averla tradita Contagiati bimbo di un anno e un ragazzo ROMA. Giù lo chiamano l'Untore, come quelli che nel Medioevo erano accusati di diffondete la peste bubbonica «ungendo» con diabolici miscugli le porte dei sani. Ma il moderno Untore ha grandi possibilità per diffondere un'epidemia: basta che occulti i suoi comportamenti sessuali. Un infermiere romano di 48 anni, che contrasse l'Aids nel 1990 per colpa di una relazione extraconiugale, ha tenuto nascosta la scappatella al centro trasfusionale del Policlinico. Aveva paura che la cosa arrivasse all'orecchio della moglie. E' passato cosi indenne dai controlli. E il suo sangue infetto ha fatto ammalare di Aids due pazienti del Policlinico: un bambino, che all'epoca dei l'atti era appena nato, e un giovane, maggiorenne da pochissimo tempo. Il caso è stato scoperto dall'Osservatorio epidemiologico del Lazio, su denuncia dei diretti interessati. Da qui, nei giorni scorsi, la documentazione è finita prima ai carabinieri dei Nas e poi sul tavolo del pm Gianfranco Amendola che sta indagando sullo scandalo del sangue. Ora P. A. - così la sigla del donatore ammalato - ò in fase terminale. La malattia ha avuto tutto il tempo di esplodere. Il bambino, invece, ha sviluppato i primi segni del contagio e si trova in cura presso il reparto delle malattie infettive del Policlinico, primario Fernando Aiuti. Il padre, disperato, aspetta da due anni l'indennizzo ministeriale che gli spetta. Proprio la richiesta di questo padre ha innescato l'istruttoria. Otto mesi dopo la trasfusione, infatti, i due pazienti mostrarono di essere sieropositivi. Ora, passi per il ragazzo che poteva avere avuto un comportamento a rischio. Ma un bambino di un anno? Ovviamente i medici andarono di corsa a controllare le cartelle cliniche. Per legge devono riportare i bollini che marcano ogni sacca di sangue. Dal bollino, i responsabili del centro trasfusionale - e si vede come la legge, quando sia applicata seriamente, è ben fatta - si risalì al nominativo del donatore. Lo chiamarono a rapporto. Gli fecero un terzo grado. E quello ammise di aver barato. Alle domande sul suo comportamento sessuale aveva dato risposte inesatte. Aveva una storia extraconiugale e non usava il preservativo. Gli fecero il test. Era sieropositivo anche lui. Il pm Gianfranco Amendola, ora, ha iscritto P. A. al registro degli indagati per false dichiarazioni a pubblico ufficiale. Se mai morisse uno dei due conta¬ giati, scatterebbe l'omicidio colposo. Il donatore-untore è stato anche convocato in procura. Ma è una ben magra consolazione. L'uomo sta molto male. La sua stessa vita è appesa a un filo. I giudici hanno tra le mani anche il caso di Patrizia C., la donna che accusa il Policlinico di aver nascosto la verità sul suo caso di contagio. «Almeno commenta il marito di Patrizia - quei genitori hanno avuto giustizia. Noi aspettiamo ancora una risposta chiara e definitiva. Ci serve per sopportare meglio la tragedia che ci è arrivata addosso». E molte altre denunce sono in cammino. Al giudice Amcndola risulta che siano ben mille nella sola regione Lazio le persone - perlopiù sostenute dall'Associazione politrasfusi italiani - che hanno denunciato di aver contratto il virus Hiv o l'epatite C in seguito a trasfusione. Un numero strabiliante. Finora, comunque, grazie anche al lavoro del consulente Augusto D'Angiolino e del Nas, il campo è stato ristretto: dopo il 1990, quando è entrata in vigore la legge sul sangue e sul test obbligatorio, risultano cinque casi di contagio con Hiv. Un paio sono stati spiegati con la storia dell'infermiere imbroglione. Poi, di casi tristemente famosi, ci sono quelli di Patrizia C. e del povero Robertino Sollazzo. Ma di questi e degli altri pare molto difficile venirne a capo proprio perché la legge sul sangue non è stata osservata in tutti i suoi adempimenti. Gli investigatori spesso si trovano davanti a cartelle cliniche raffazzonate. Sangue che non si sa dove sia stato preso, né che fine abbia fatto. Magari registrato in un ospedale pubblico e utilizzato in una clinica privata. Oppure, ed è ancora più grave, raccolto in centri clandestini. Alla fine è solo un grande guazzabuglio. Accanto Marialina Marcucci, candidata alla vicepresidenza della Regione Toscana: ha precisato che da tempo ha lasciato gli incarichi nella società di famiglia. Sotto il ministro Elio Guzzanti Il laboratorio per l'etichettamcnto del sangue della Farma Biagini del gruppo Marcucci dove è stata sequestrata una partita di plasma

Persone citate: Biagini, Elio Guzzanti, Fernando Aiuti, Gianfranco Amendola, Marialina Marcucci, Patrizia C.

Luoghi citati: Lazio, Roma, Toscana