Per grazia vissuta di Gianni Vattimo

vissuta Masullo e i ritmi del tempo vissuta MOPO Nietzsche e la sua distruzione della fiducia nella certezza della coscienza (giacché proprio le verità o i valori che ci appaiono più evidenti sono probabilmente solo quelli che la voce del gregge - dall'educazione alla pubblicità - ci ha instillato) e dopo Heidegger e la sua scoperta che ogni rapporto con se stessi è sempre mediato dal linguaggio che abbiamo ereditato, molta filosofia di oggi trova difficoltà a prender sul serio qualunque appello a una verità ultima, immediata, non ancora modificata e «falsificata» dai condizionamenti di una determinata civiltà. Tuttavia, è anche ben vivo, nel pensiero contemporaneo, un atteggiamento che risale a Edmund Husserl e alla fenomenologia, e che concepisce il lavoro della filosofia, e del pensiero in generale, come sforzo di cogliere l'esperienza nel suo farsi più originario e immediato, al di qua di ogni significato articolato e ordinato secondo categorie. La grammatica di Nietzsche E' un atteggiamento che trova le sue buone ragioni nel bisogno di collocarsi in un punto in cui i giochi, per dir così, non siano già fatti. Lo stesso Nietzsche, per esempio, diceva che l'umanità non si sarebbe liberata di Dio se non si fosse liberata dalla grammatica, giacché la struttura basilare del nostro linguaggio prefigura una visione del mondo che, alla fine, rimanda a una causa ultima, a un fondamento primo, cioè, appunto, al Dio della metafisica. Naturalmente, liberarsi della grammatica sembra impossibile: anche per argomentare una posizione ateistica bisogna ragionare, parlare, usare un linguaggio strutturato. Nietzsche, del resto, si rese presto conto che voler risalire alle radici ultime della nostra esperienza del mondo avrebbe significato ricadere vittime dell'idea del fondamento, e cioè dell'idea che alla base di tutto ci sia un «primo» afferrando il quale la realtà ci diverrebbe finalmente comprensibile nel suo insieme. Ma il bisogno di cogliere in qualche modo l'originario (non si può chiamarlo che così) non è affatto scomparso dal pensiero, e anzi si potrebbe costruire una grande suddivisione della filosofia, e in genere della cultura, di oggi proprio distinguendo tra gli orientamenti comunque tesi alla scoperta dell'origine e quelli che hanno esplicitamente abbandonato questo proposito (più o meno per le ragioni proposte da Nietzsche e da Heidegger). A favore dell'idea che si debba cercare di cogliere l'originario sta non solo la generale diffidenza per le verità convenzionali, le ideologie condivise ma spesso troppo condizionate dalla situazione storica e dal costume; c'è anche la giusta constatazione che la nostra esistenza è caratterizzata da una radicale discontinuità, è fatta di eventi imprevisti e imprevedibili, i quali si presentano appunto come momenti «originali», irriducibili a ciò che c'era prima. Sono questi momenti quelli che danno il senso alla nostra esistenza, e nei quali sembra farsi presente una origine prima e ultima nel senso che non appartiene alla serie di cause ed effetti del corso «ordinario» delle cose. E' più o meno questo ciò che Aldo Masullo, nel suo ultimo libro (// tempo e la grazia, Donzelli), chiama la «grazia», accostandola, nel titolo, a un altro termine che ha sempre costituito un problema per la filosofia, il tempo. Si potrebbe dire che, secondo Masullo, senza grazia non c'è tempo. La grazia è la disconti¬ nuità, l'irruzione del nuovo, che permette di scandire il tempo. E in effetti il libro è soprattutto uno studio della temporalità costitutiva dell'esistenza, che Masullo chiama anche «paticità», per sottolineare che l'irruzione del nuovo nell'esistenza è anche sempre, almeno per un aspetto essenziale, una occasione di patimento, seppure non necessariamente di sofferenza. Quello che ci accade è sempre qualcosa che ci sopravviene, destabilizzando il nostro equilibrio. Per questo, la discontinuità e la temporalità sono inseparabili dalla passione, e anzi - come Masullo illustra in pagine suggestive e piene di molto acute interpretazioni di tematiche della letteratura, della psicoanalisi e persino del pensiero politico di oggi (Schmitt) - tutta la sfera dell'affettività (affetto è sinonimo di passione almeno per l'etimologia) va compresa e analizzata in base alla temporalità dell'esistenza. Temporalità che, ovviamente, implica anche la prospettiva della morte (un tema a cui Masullo dedicò, molti anni fa, un piccolo libro memorabile per originalità e intensità). Proprio il bisogno di sfuggire in qualche modo alla morte spiega il sorgere del mondo dei significati che si stabilizzano in codici socialmente fissati, e cioè la dissoluzione, in qualche modo, delle esperienze originarie nella costruzione di sistemi concettuali, di discorsi articolati che però sembrano sempre lasciarsi sfuggire l'essenziale, in quanto, per conferire un significato riconoscibile agli eventi, cercano di riportarli a quel che già c'era, spiegandoli e cioè riducendoli a effetti di cause date prima. La diffidenza verso le passioni Masullo non intende certo negare legittimità a questo mondo dei significati: vuole però criticare la tendenza predominante della filosofia a preferire la stabilità del discorso articolato rispetto alla ineffabilità dell'istante originario; persino la diffidenza per le passioni che da Platone si è trasmessa al pensiero medievale e moderno è una conseguenza di questo rifiuto della temporalità che segna invece tutta l'esistenza. Dal Iato di quel pensiero che non riesce (più) ad appassionarsi alla ricerca dell'origine, senza tuttavia negare il carattere discontinuo del tempo e la paticità dell'esistere, sta ancora sempre il problema di come si pensa, in concreto, il rapporto tra momenti «di grazia» e articolazione discorsiva del loro significato. Due bei versi di Hòlderlin (spesso citati da Heidegger) dicono: «Solo a momenti l'uomo sopporta pienezza divina. Sogno di essi è, dopo, la vita». Se la filosofia si accanisce a voler cogliere il senso di quei momenti mettendo da parte i sogni a cui essi hanno dato luogo, e cioè alle catene di simboli e significati discorsivi in cui essi si sono, in qualche modo, consumati, finisce forse fatalmente per non riconoscere nemmeno più l'irrompere della grazia. La ricchezza dell'origine consiste solo nei discorsi, negli sviluppi articolati, a cui ha dato luogo. Anche Masullo, del resto, coglie e descrive la paticità inafferrabile dell'esistere solo accumulando richiami a testi filosofici e letterari antichi e recenti. Proprio l'attenzione appassionata all'origine, ancora secondo una pagina di Nietzsche, mostra la sua insignificanza - se si pretende di afferrarla fuori delle «maschere» che l'hanno fatta vivere nella storia. Gianni Vattimo