Il fanatismo si allea con la Piovra di Domenico Quirico

Il fanatismo Il fanatismo si allea con la Piovra IL cervello è a Khartoum. Hassan Tourabi è un uomo di Dio, un intellettuale che ha studiato alla Sorbona e a Oxford, sempre vestito con un lungo bournus immacolato. Il suo sogno è riunire in una grande Repubblica di Giusti tutti i seguaci del Profeta dispersi nel mondo, restaurare la loro unità e lanciare la guerra santa contro il corrotto Occidente. Le sue armi sono quelle di un mistico, di un Madhi silenzioso che preferisce i sottili artifizi della persuasione al rumore dei proclami. Ma dietro di lui si muovono solerti apostoli del terrore, decisi a insegnare il Corano con la spada, convinti che la virtù sia un problema di ingegneria sociale. L'«Internazionale islamica», il partito fondamentalista, transnazionale e terrorista, forse è ancora alla stadio di progetto. Ma certamente dietro questa nebulosa c'è già un esercito, un reticolo di commandos, convinti che la rivoluzione non marcia più sulle parole e gli slogan, ma sulle bocche dei fucili. Tutto è cominciato sulle aspre montagne dell'Afghanistan, quando i mujaheddin lottavano contro i tentacoli dell'Armata Rossa. Pagati dal denaro saudita e dei ricchi emirati del petrolio, migliaia di volontari si arruolarono per irrobustire le gracili armate della fede. Venivano dai Paesi del Maghreb, dall'Egitto, dalla Turchia e dal Medio Oriente, felici di barattare una quotidiana miseria con l'ebrezza di una giusta causa. I governi plaudivano soddisfatti a questa legione straniera della fede, che non costava nulla e allontanava dalle tentazioni qualche testa calda. In Pakistan i volontari trovarono istruttori di eccezione, 007 della Cia impegnati in una grande operazione di guerra segreta contro i russi. Metodi di sabotaggio, armi sofisticate, tecniche di guerriglia, perfino come usare gli «stinger», i micidiali missili terra aria: alle zelanti brigate internazionali di Allah non nascosero alcun segreto. I «legionari», tornati in patria, si sono accorti che la guerra vera doveva ancora cominciare. I nemici, questa volta, non erano i russi, ma gli uomini corrotti che avevano piantato gli artigli nella carne viva dei loro Paesi. Così cominciarono ad ascoltare le voci che si levavano dalle moschee. L'Algeria è stata il Paese laboratorio di questa guerra del Bene contro il Male, di questa rivoluzione feroce, sacralizzata dall'ortodossia. I reduci afghani hanno plasmato il Già, l'ala militarista che, a poco a poco, ha emarginato i politici del Fronte di salvezza islamico. Sono loro che hanno addestrato e armato gli squadroni della morte, formati da giovani diseredati, da folli di Dio feriti dalla modernità e dalla miseria. Poi i burattinai sudanesi, dietro a cui si delinea l'ombra dell'Iran, hanno intrecciato i fili della legione islamica, i nuovi killer algerini con i collaudati ingegneri del terrore, Hamas, la Jihad, le mille sigle della tortuga terroristica del Medio Oriente. Ed è cominciato il silenzioso sbarco in Europa. Dapprima in Bosnia, per aiutare i fratelli strangolati dai serbi. Poi tra le comunità che vivono assediate nel corrotto Occidente, tra povertà e frustrazione. L'allarme l'hanno lanciato per primi i francesi: attraverso le reti dell'immigrazione clandestina i fondamentalisti algerini stanno costruendo un grande sentiero delle armi. Crocevia di questo traffico, per la vicinanza geografica, è proprio l'Italia. Dove gli islamici avrebbero siglato una perversa alleanza con le grandi organizzazioni criminali, mafia e camorra, «affittando» i canali utilizzati per la droga e il contrabbando. La geografia del grande traffico parte dai Balcani, ormai trasformati in un comodo supermarket delle morte, e attraverso Italia, Svizzera e Germania percorre a ritroso la rotta verso il Nord Africa. Un'altra via sfrutta invece la Sicilia e segue le collaudate rotte dei clandestini. La grande Jihad è cominciata. Domenico Quirico

Persone citate: Hassan Tourabi, Profeta