Dietro El Diablo solo poveri diavoli

Il 4° posto di Chiappucci al Giro conferma la crisi di ricambio del pedale italiano CICLISMO Il 4° posto di Chiappucci al Giro conferma la crisi di ricambio del pedale italiano Pietro El Piablo, solo poveri diavoli Rebellin e Casagrande hanno deluso: il primo, bravino su ogni terreno, non sa eccellere in nulla Il secondo ha mezzi, ma deve cambiare mentalità e preparazione per imporsi nelle gare a tappe Il quarto posto al Giro di Claudio Chiappucci, trentadue anni, fa onore al guerriero, ma sottolinea gli attuali guai del ciclismo italiano. Non ci sono ricambi. Esule (come protagonista) dalle corse a tappe Gianni Bugno, confermatosi non idoneo alle competizioni di tre settimane Maurizio Fondriest e sgonfiatosi Furlan, la cui eccezione di una Milano-Sanremo è stata confusa con la norma, non restava che sperare in Casagrande e Rebellin, ventiquattro anni, l'età di Pantani, coccolati e presentati come preziosa coppia di aspiranti campioni. Casagrande è finito decimo con un distacco da Rominger da far rizzare i capelli. E sul ritardo di Rebellin meglio stendere un materasso pietoso. Il fiorentino Casagrande gareggia in attesa. Questo sarebbe accettabile, se si riuscisse a sapere in attesa di che cosa. Ai fatti: gareggia tutta la prima parte del Giro standosene accucciato nell'ombra della Maglia rosa, mentre la squadra si spreme per portare sulla linea di fuoco il velocista Cipollini. Rominger ne approfitta per infilarsi nella scia di quei bravi, involontari (secondo qualcuno, volontari) alleati. Insomma, lo faccia di proposito o no, la squadra di Casagrande spende per Cipollini quanto dovrebbe risparmiare per il suo uomo da classifica. Però promette: quando arriveranno le montagne saremo tutti per lui. S'è visto. Le montagne arrivano e Casagrande finalmente esce dall'ombra di Rominger ma non per tentare di stargli davanti. Scende ogni giorno un gradino, due, tre gradini, sino a ritrovarsi nel reparto delle mezze maniche. E' negato al Giro? E figuriamoci al Tour... Casagrande deve, se ci è permesso un consiglio, strapparsi di mente d'essere soltanto un corridore di giornata, di poter aspirare soltanto alle vittorie in linea. Ha mezzi importanti. Cambi preparazione, cambi mentalità, schizzi dal guscio, osi. Può permettersi di aspettare un Pantani, che sa con precisione qual è il suo terreno di battaglia; non può permetterselo un Casagrande. Rebellin ha mostrato i suoi limiti. Di solito, a parte il Giro appena consumato, è bravo sul passo, è bravo in salita, è bravo a cronometro, ma non è molto bravo in nulla. Per vincere una corsa a tappe bisogna essere «molto» bravi. Ci sono giovanissimi, vedi Berzin, che riescono ad essere campioni senza dover sfogliare il calendario fino a ritrovarsi al trentesimo compleanno, ma ci sono anziani fuoriclasse che da giovanissimi prendevano cilecche, vedi Rominger, e altri anziani che si sono ricordati di essere corridori di alto bordo al principio del tramonto, vedi Ugrumov. Non possiamo escludere che Rebellin sia di fioritura tardiva. E' un augurio rivolto a lui e soprattutto al nostro ciclismo che al 78° Giro d'Italia è vissuto esclusivamente dell'ardimento di Chiappucci. Ciò che Chiappucci ha fatto nella penultima giornata, quella del Cuvignone, se non è il frutto di uno smalto ormai appannato dalle tante fatiche e dai tanti sperperi, è almeno un esempio e un modello di coraggio, di amore per l'avventura, cui Casagrande e Rebellin, alla loro età, dovrebbero ispirarsi. Lo sappiamo, gli strateghi, i direttori sportivi, predicano la cautela e la calma, hanno paura di sciuparli i loro gioielli. Ma a forza di calma e di cautela, i cosiddetti gioielli rischiano grosso di diventare bigiotteria. C'è chi si consola dicendo: e va bene, le abbiamo prese al Giro, però abbiamo il più forte ciclismo in linea del mondo. Magari... Tolta la Parigi-Roubaix, un cross dal quale fuggono da anni i massimi nomi del ciclismo, a cominciare da Indurain per finire allo stesso Rominger, non abbiamo azzeccato una classica. Sì, è vero - è l'obiezione -, ma dove li mettiamo i piazzamenti? Mettiamoli dove vogliamo, resta il fatto che vincere è più importante che perdere. Resta il fatto che un primo posto al Giro delle Fiandre, o alla Freccia Vallone, o alla Liegi-Bastogne-Liegi ha un significato e tre o quattro corridori ubicati tra i dieci migliori ne ha un altro. Se abbiamo oggi il ciclismo in linea più forte del mondo, che razza di tesoro avevamo quando Fondriest vinceva la Sanremo, Bugno il Fiandre e Argentin diroccava gli avversari nelle Ardenne? Torniamo al Giro. Il via anticipato gli nuoce. Lo manda incontro al pericolo di montagne incarognite. La nuova astrusa collocazione delle competizioni (il Mondiale a ottobre!) è da rivedere, e al più presto. Ma le redini del ciclismo sono, purtroppo, in pessime mani. Gianni Ranieri Casagrande può migliorare Rebellin, non basta essere «bravo»

Luoghi citati: Italia, Milano, Parigi, Sanremo