E' il grande eclissato del'900 di Geno Pampaloni

Ha esplorato i raccordi tra fatti umani e destini Ha esplorato i raccordi tra fatti umani e destini E' il grande eclissato del '900 EORRADO Alvaro è uno dei grandi eclissati del nostro Novecento. Nessun altro scrittore italiano (con l'eccezione di Leonardo Sciascia, siculo-parigino) ha riunito in sé una doppia cittadinanza europea: di italiano e di tedesco. Aveva vissuto a lungo in Germania, e ne aveva assorbito umori e cultura, nel segno del mito, che lo riportava direttamente alle sue origini mediterranee. Il mare è uno dei racconti memorabili del '900, e andrebbe ristampato e riproposto con tutti gli onori. E' la prima cosa che lessi di lui, e ne rimasi affascinato. Passò qualche estate a Terra Rossa, spiaggia solitaria alle falde dell'Argentario, sulla costa della laguna di Orbetello. Andai a trovarlo e divenimmo amici. Gli avevo portato un articoletto ove definivo il suo Vent'anni come un'«opera di giovinezza e di deriva». «Lei sa leggere, mi disse: è proprio così». In un momento di magra mi aiutò facendomi tradurre le Lettere di San Cipriano e facendomele pagare subilo dall'editore Capriotti. A Roma, nell'inverno del '44 e nella primavera del '45, andavo spesso a trovarlo nella sua casa di Vicolo del Babuino, da dove si dominava la scalinata di Trinità dei Monti. Con Roma aveva un rapporto complesso, di amore e di diffidenza. «E' una città, diceva, dove si invecchia più presto che altrove, e dove però l'illusione della giovinezza accompagna l'uomo fino a tardi, quando egli non sarà più che un ragazzo canuto, ingannato e disperato». Passavamo lunghe ore nel suo studio, in silenzio. La stanza era severa: la libreria alle sue spalle, un largo divano-letto con la coperta rosso- fiamma, l'ampio tavolo da lavoro. Lui arrotolava il tabacco nelle cartine leggere con un cilindretto metallico, polveroso di cenere. Talvolta mi parlava del romanzo che stava scrivendo, Tutto è accaduto. Raccontava sempre a cerchi molto larghi, cercando di mettere a fuoco non un particolare, ma tutta una situazione, e quasi per giustificare il suo stupore verso la vita, per le analogie misteriose, le implicazioni segrete e spesso terribili che legano i fatti umani ai destini. Di Roma e del fascismo affiorava nelle sue parole un'immagine ossessiva e torbida, precisa e al tempo stesso indefinita. Il romanzo fu pensato prima di L'età breve e di Mastrangelina, che scrisse rendendosi conto che per capirne la storia occorreva rifarsi alla preistoria. Gli ero accanto quando fu accusato di essere un voltagabbana per avere scritto una volta pagine commosse sulla bonifica dell'Agro Pontino. Lo accompagnai alla redazione di Epoca, quotidiano diretto da un altro calabrese, Leonida Repaci. «Non cambierei una riga, mi disse. C'è della gente che non sa che la terra è sacra. Che c'entra il fascismo? Essa c'era prima, e ci sarà per sempre anche dopo». Aveva allegrie da ragazzo, e momenti cupi, di solitudine buia, ove la Calabria oscurava l'Europa. Mi voleva bene anche perché il figlio Massimo, mio coetaneo, era al Nord e non se ne sapeva più nulla da oltre un anno. In quei momenti non era più uno scrittore, ma un padre. E così è stato anche per me. Caro Alvaro. Geno Pampaloni

Persone citate: Capriotti, Di Roma, Leonardo Sciascia, Leonida Repaci

Luoghi citati: Agro Pontino, Calabria, Europa, Germania, Orbetello, Roma, San Cipriano, Trinità