«Distruggete la camorra» di Giovanni Bianconi

«Distruggete la camorra» Capoclan si dissocia e annuncia: userò il prestigio che avevo tra i criminali di Napoli per indurli a deporre le armi «Distruggete la camorra» Un boss ai giudici: vi aiuterò LA SFIDA ALLA PIOVRA IROMA 0 mi accuso di trenta, quaranta, cinquanta omicidi... Mi sto autoaccusando di delitti, mica di passeggiate. E' giusto che venga fuori la verità, perché io voglio distruggere la camorra. Però non spetta a me distruggerla, spetta a voi magistrati, a voi poliziotti. Io la mia parte la faccio onestamente, quella di dire "è una strada sbagliata, è errata e debbo pagare: sto qua, ho fatto tutto questo"... Voi avete anche i pentiti nelle mani, saranno loro a precisare determinate cose, però anche chi è nella mia posizione penso che porterà un utile alla magistratura, perché potete avere un quadro più chiaro di tutta la situazione». Il primo dissociato della criminalità organizzata - Angelo Moccia, camorrista detenuto da più di tre anni dopo nove di latitanza ci riprova e torna a lanciare i suoi messaggi. Un anno fa, lui che fu uomo di punta del clan camorristico di Alfieri e Galasso (oggi entrambi pentiti) prese contatti col vescovo di Acerra don Riboldi e si adoperò per far ritrovare quel carico di armi che doveva essere il primo segnale di disponbilità. Poi il dibattito si arenò, qualcuno disse che quello della dissociazione poteva essere uno strumento per indebolire i pentiti e favorire, anziché combattere, la camorra. Oggi Moccia - 37 anni di vita e ancora cinque e mezzo di carcere da scontare per una condanna definitiva - rilancia: il discorso della dissociazione, dice ai giudici di Napoli e Salerno, è ancora valido. «Sarebbe un bene per il Paese ha dichiarato in un verbale dell'aprile scorso - accettare nelle sedi competenti la resa incondizionata della delinqueunza organizzata. Sono sicuro che a tutt'oggi tutti i camorristi liberi accetterebbero di deporre le armi qualora lo Stato gli garantisse la possibilità di ricorrere a dei giudizi abbreviati e che rispettasse la loro scelta di dissociati». Moccia dunque garantisce la resa dei capi clan, e si propone nel ruolo di mediatore: «Ho usato e sarei pronto ad usare il prestigio del quale godevo nel mondo della criminalità, qualora ravvedessi un segnale positivo da parte dello Stato, per indurre costoro a deporre definitivamente le armi e a consegnarsi alla giustizia». Ma chi sono i latitanti che dovrebbero arrendersi7 L'interrogato risponde: «Rispettando il mio ruolo di dissociato non ho inteso in questa verbalizzazione fornirvi i nomi di tutti i capi della camorra che erano disposti a seguirmi sulla via della dissociazione. Posso però dire che si trattava dei gruppi più significativi esistenti su tutto il territorio campano». Il tema della dissociazione dalla criminalità organizzata torna dunque sul tappeto, come avven¬ ne col terrorismo all'inizio degli Anni Ottanta quando, dopo la stagione del penititismo, arrivarono i brigatisti disposti ad ammettere le loro colpe senza chiamare in causa gli altri. Loro ottennero una legge e gli sconti di pena. A nome di quelli, potenziali, della camorra, Moccia chiede oggi nuove norme che garanti- scano un abbassamento delle condanne da scontare. Per esempio, trent'anni di galera anziché l'ergastolo. Nel frattempo il camorrista, un tempo amico fraterno di Pasquale Galasso, si autoaccusa di crimini efferati come la strage di Torre Annunziata, del 1984. E spiega di aver fatto questa scelta per «liberare» i suoi figli dalla cappa criminale ed evitare altri lutti. «Nel periodo di detenzione in Roma - ha raccontato Moccia riferendosi alla fine del '93 e l'inizio del '94 - appresi nell'ambiente carcerario che la camorra napoletana, spienta dalla mafia siciliana, si apprestava ad eseguire clamorosi attentati del tipo di quelli fatti dalla mafia a Firenze e Roma, al fine di indurre lo Stato ad allentare la pressione sulle organizzazioni camorristiche e mafiose... Appena ebbi modo di parlare con mio fratello Luigi, lo invitai a ritornare dai capi dei gruppi camorristici al fine di dissuaderli dal mettere in atto tali propositi e accettare, invece, la mia proposta di dissociazione». Su Moccia si sono rovesciate le accuse di Galasso, compresi parecchi omicidi, ma non è per questo, dice lui, che ha sposato la nuova causa. Tra i due fu disposto un confronto, e Moccia ricorda: «Io invitai il Galasso a seguire la sua strada di pentito e quindi a incolparmi di tutti i reati da me commessi, in quanto io avrei proseguito sulla mia strada della dissociazione... Posso dire che in un attimo di rilassamento il Galsso mi stava confidando il luogo ove era detenuto in regime extra-carcerario, ma ciò non avvenne perché lo invitai a non rivelarmelo...». Apparso sui giornali anche per l'intervento di monsignor Riboldi, divenuto il confessore di Moccia, il «progetto» della dissociazione non ebbe seguito. Qualcuno sospettò che, dopo Galasso e Alfieri, anche Moccia stava per pentirsi, e gli altri camorristi si tirarono indietro. «Io non ho ingannato nessuno», insiste Moccia. E il suo avvocato Guido Calvi, che assiste il camorrista insieme al collega Salvatore Senese, spiega: «Superato ormai il sospetto di strumentalizzazione, la soluzione al problema del dissociato apre al legislatore un terreno di grande novità nella lotta alla criminalità organizzata». Giovanni Bianconi Un anno fa contattò anche don Riboldi «Ma lo Stato deve aiutarci» Il boss Carmine Alfieri, ex numero uno della camorra

Luoghi citati: Acerra, Firenze, Napoli, Roma, Salerno, Torre Annunziata