L'ultimo dei «boiardi» sul viale del tramonto
L'ultimo dei «boiardi» sul viale del tramonto L'ultimo dei «boiardi» sul viale del tramonto L'ALANO DI VIA VENETO IL Conte di Cagliostro raccontava con la massima naturalezza ai suoi interlocutori di essere stato, millessettecentc anni prima, amico di Ponzio Pilato. Da qualche tempo, invece, Franco Viezzoli ha smesso di citare anche i veri contemporanei, gli uomini che egli ha incontrato realmente nella sua vita e con i quali ha gestito rilevanti quote di potere in questo Paese. Non per infedeltà o slealtà - ne siamo certi -, ma forse per non sembrare un sopravvissuto a contemporanei di cui s'è persa anche la memoria. Tutti sanno fin dalle elementari chi fu Ponzio Pilato, ma chi si ricorda più, poniamo, di Giuseppe Petrilli, per un ventennio potentissimo presidente dell'Iri, il più grande gruppo industriale italiano, lo strumento pubblico destinato a far ricca e prosperosa l'Italia democristiana? Quale laureando in economia saprebbe oggi descrivere, d'acchito, il ruolo che nell'industrializzazione italiana, all'insegna dell'economia «mista», hanno ricoperto per lustri, poniamo, Salvino Sernesi o Leopoldo Medugno? Per questo, l'ultimo Viezzoli, quello dell'Enel, baluardo dell'impresa pubblica - non foss'altro che perché l'ente nacque dalla nazionalizzazione dell'industria elettrica privata nei primi Anni Sessanta, con una battaglia politica che portò a un capovolgimento delle tradizionali alleanze - ha forse smesso di citare da tempo i suoi contemporanei e i suoi sodali. Salvo quando qualcuno gli ricorda la definizione, che ancora 10 fa sorridere, di Alano di Petrilli, soprannome che si beccò probabilmente dal sottoscritto, nei primi Anni Settanta. Gli Alani, naturalmente, erano due, perchè vanno in coppia, ed erano gli angeli custodi di Leopoldo Medugno, direttore generale, e dello stesso Petrilli, che, volteggiando tra i grandi della Repubblica - soprattutto Amintore Fanfar.i -, lasciava al duo la gestione operativa: Viezzoli per l'industria, Fausto Calabria per la finanza. E' una storia parallela, quella dei due Alani, che nella sede dell'Iri in via Veneto, anno dopo anno, ha preso sempre più le cadenze della leggenda. Si narra che era sul letto di morte l'antico direttore generale Sernesi, quando firmò l'ordine di servizio che conferì a Viezzoli e Calabria i poteri che poi i due mantennero per lustri. Viezzoli è un istriano, ma è nato a Genova e 11 suo primo impiego fu alla Navigazione Italia, per l'appunto con Sernesi; non a caso, è marinaro l'altro pezzo di leggenda sugli Alani: negli anni in cui decidevano di comprare cantieri navali, di espandersi nella siderurgia, di dar vita alla Sme e all'Alfasud, di progettare Gioia Tauro, insomma, nei momenti tòpici, i due si concedevano ritiri marinari lungo le coste istriane su uno yacht a motore acquistato con un terzo socio, Franco Schepis, mitico capo delle Relazioni Pubbliche dell'Iri, l'uomo che a quei tempi guidava la lobby parlamentare, che delibava i nomi di candidati ministri, decideva se sopprimere un giornale o farne nascere uno nuovo, un vero termometro vivente del potere in Italia. Petrilli, Medugno, Calabria, Schepis... Chi se ne ricorda più, se non gli ultimi e ormai anziani co¬ razzieri che presidiano i corridoi tetri di via Veneto ? Proprio corazzieri del Quirinale, con tanto di stato di servizio, non scherziamo affatto, perché Schepis, uomo di gusti raffinati, aveva dato disposizione che soltanto tra questi, altissimi e cerimoniosissimi, dovessero essere assunti gli uscieri in mezzo tight dell'Ili. Unico sopravvissuto, ancora prima dell'asserito trapasso di repubbliche, Franco Viezzoli, senza neanche troppi graffi, almeno fino a qualche tempo fa. Nel 1989, regnante il Caf, era dato come certo presidente dell'Iri al posto di Romano Prodi che tornava a fare il professore a Bologna. Andreotti, maligno come sempre, lo lasciò sperare fino all'ultimo e, alla fine, lo fregò con un sorriso, mettendo nella poltrona agognata Franco Nobili, un palazzinaro un po' vanitoso del coté romano, suo amico da decenni, passato peraltro come una disastrosa meteora. Viezzoli trangugiò, si ritirò per qualche settimana a Bressanone, dal dottor von Guggemberg, che non finisce di strigliarlo per i suoi eccessi alimentari, e tornò all'Enel più roccioso che pria. Finché il governo Ciampi non cercò di nuovo di farlo 'fuori: «Non ti sfuggirà, in virtù del tuo alto senso di responsabilità - gli scrisse severo e, al tempo stesso, mieloso il ministro del Tesoro Piero Barucci -, che i tempi assai lunghi renderebbero difficile attendere alla tua difesa processuale con gli impegni connessi alla privatizzazione dell'Enel». Lo accusavano per una storia della centrale maledetta di Gioia Tauro, e lui - più mastino che alano - rispondeva che nessuno, neanche i giudici, avrebbero potuto liquidarlo così, dopo quarantaquattro anni di «appassionato lavoro al servizio della cosa pubblica». Sì, disse proprio così, mentre tutti già si chiedevano: possibile che l'uomo che da otto anni presiede un consiglio d'amministrazione come quello dell'Enel, che l'inchiesta Mani Pulite ha rivelato essere nient'altro che un comitato d'affari dei partiti, esca indenne da tutto? Intendiamoci, Viezzoli è un uomo abile, prudente, oltre che estremamente capace, e le responsabilità, in un sistema di ga- ranzie, sono personali, quelle generiche non contano nulla. Ma come poteva ignorare quel che i suoi consiglieri, i Bitetto, i Faletti, organizzati dal potente supersegretario generale Luigi Benedetti, facevano tutti i giorni sotto il suo naso, distribuendo tangenti ai partiti? Ma l'Alano è anche un uomo fortunato: lo salva da Ciampi il 27 marzo, con la vittoria elettorale della destra. Non sappiamo se sia stato tra quei grandi manager pubblici che il segretario di Alleanza Nazionale Fini ci raccontò, poco più di un anno fa, di aver dovuto ricevere, in interminabile sequenza, per averne congratulazioni e incoraggiamenti; ma, se è così, come alcuni fatti successivi lasciano pensare, vogliamo credere, almeno, che l'istriano Viezzoli sia stato, nel fondo del cuore, sempre di destra e abbia servito l'Italia democristiana credendo veramente di essere soltanto «al servizio della cosa pubblica». E' con dispiacere - lo confessiamo - che dobbiamo registrare oggi la caduta dell'ultimo dei Boiardi, definizione in auge negli Anni Settanta per i padroni dell'impresa pubblica, derivata dal russo Bojar, e che designava la ristretta casta degli aristocratici dell'antica Russia, perché nella sua determinazione di sopravvissuto ai contemporanei troviamo qualcosa di tragico, come in un romanzo di Garcfa Màrquez, pieno di vecchi generali. Non possiamo giurare sull'innocenza di Viezzoli e, tantomeno, sulla sua colpevolezza, né dire che il sistema dell'antica Russia abbia fatto bene all'Italia. Tutt'altro. Ma possiamo ragionare soltanto sulla passione profusa per 45 anni dal vecchio generale su un disegno non suo, forse tutto truffaldino, ma perseguito spesso con competenza. E augurarci che qualche nuovo Conte Cagliostro, magari incapace come molti di quelli che si vedono in giro, non venga adesso a raccontarci che lui ha conosciuto bene Ponzio Pilato. Alberto Staterà Fu «creato» da Petrilli ex presidente dell'Iri Àndreotti gli preferì Nòbili ajla presidenza dell'ente Il manager: «Nessuno, neanche i giudici potrà liquidarmi così, dopo 44 anni di lavoro» Il manager: «Nessuno, neanche i giudici potrà liquidarmi così, dopo 44 anni di lavoro» A sinistra: Franco Viezzoli (qui accanto con Romano Prodi) Sotto: Giuseppe Petrilli Da sinistra: Franco Nobili e Carlo Azeglio Ciampi
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