lo Rominger campione per caso
7Q0 Giro 70" d'Italia Laverà storia del trionfatore del Giro: cominciò per scherzo, con una sfida tra fratelli lo, Rominger, campione per caso «Sono un ragioniere, ma con la testa dura» MILANO DAL NOSTRO INVIATO Il ragionier Toni Rominger, anni 20, in quel lontano 1981 non pensava proprio a fare il corridore. «Non credo siano molti i ragionieri che aspirino a vincere il Tour o il Giro», riconosce lo svizzero. Però un'idea fissa l'aveva, un'idea che gli era entrata in testa da bambino trovandovi fissa e tenace dimora: vagheggiava di guidare un treno, si immaginava macchinista. «Ma un giorno, per caso, guarda com'è la vita, mio fratello Lars, più giovane di me, mi sfida a una gara in bici. Su, dai, una corsetta. Insiste, accetto e mi fa nero, mi lascia a metà strada. Le canzonature di tutta la famiglia, le hai prese da un bambino, vergogna. Organizzo la rivincita, mi alleno, mi preparo di nascosto. Ti andrebbe di battermi per la seconda volta? Lars si frega le mani: subito. Stravinco. E ci prendo gusto, non vedo l'ora di riprovarci. E' cominciato così». Ma per il ciclismo svizzero. Toni è un esordiente troppo vecchio: continua con la partita doppia, ti conviene. «Chiedo rispettosamente di essere ammesso al vostro club. Faccio cortese domanda di ammissione alla vostra società sportiva. Sempre no. Alla fine mio padre parla con un'amico che ha una squadra, mi provano, vado bene, mi prendono». Il ragionier Toni Rominger s'accorge, pedalata dopo pedalata, che il mestiere di ragioniere non abita le zone alte dei suoi desideri, non costituisce il vertice della felicità. Cerca un posto tra i prof. Carta e penna: «Gentilissimo direttore sportivo, mi chiamo Toni Rominger, questo è il mio curriculum di dilettante, sono un bravo passista cronoman. Posso sperare?». Risposta: no. Altro foglio e altra busta. E' paziente, Toni, e con la testa dura. Scrive, scrive, scrive. «E finalmente uno risponde, è Stanga il capo di Bugno. Divento prof». Un corridore professionista diligente, attento, un gregario che osserva e impara. Capisce che ascoltare è bene, ma che fare da sé, quando i consigli sono fessi e l'intelligenza di chi te li dà è inferiore alla tua, è meglio. L'ex ragioniere si trasforma in un programmatore meticoloso, puntiglioso delle proprie vicende. Il gregario di Bugno alla Chateaux D'Ax e di Bernard alla Toshiba, intraprende gli studi da capitano. «La promozione la ottenni già alla Toshiba. Ma credo che la storia del vero Rominger sia iniziata alla Clas, con gli spagnoli. Il direttore Fernandez che ho ancora qui con me, il massaggiatore Torrantegui, i formidabili compagni che avete ammirato al Giro, Mauleon, Unzaga». In Spagna Rominger, il nordico Rominger nato in Danimarca, a Voyens, da madre danese e padre svizzero, e collocato a Zug in tenerissima età per il rientro in patria di papà, non solo conosce un altro ciclismo: impara a vivere da meridionale. A cena tardi, addirittura una «cerveza» sulla tavola. «Buona la birra, buona la tortilla con le patate. Senza esagera- re. Sto bene con gli amici spagnoli». Amici che gli aprono la scorza dura, gli mettono dentro l'allegria, il divertimento di non vincere solo le cronometro. Vince un Giro di Spagna: 1992; un altro Giro nel '93; un altro ancora nel 1994. Bella forza. Contro chi si è misurato? Sono rivali Montoya, Zuelle, Zarrabeitia? I pollini di maggio gli accorciano il respiro, lo allontanano dal Giro. Al Tour, al Tour. «Che esordio. Mi stende la cronometro a squadre, mi stendono le cadute. Corro la crono individuale sotto il diluvio e Indurain corre col sole, vado bene in montagna, batto Indurain nella crono finale. E a Parigi sono 2° dietro Miguel. Lo puoi avere il Tour, Toni, riprova». Attesissima sfida. Rominger con il successo in due giri di Lombardia (1989 e '92) nel medagliere, si prepara sui monti del Colorado. E' in forma smagliante. A Lourdes si ammala di enterocolite; sulla strada che porta alla scalata dell'Hautacam, lo raccolgono ridotto a uno straccio. Addio Tour. «Se dovessi contare i baci ricevuti dalla Fortuna non impiegherei più d'un secondo. Ma alla fortuna non ho mai chiesto nulla, ho chiesto molto a me stesso e ho avuto risposte incoraggianti». Per quanto gli spagnoli che lo circondano e che per lui darebbero l'anima, gli abbiano insegnato a lasciarsi andare almeno una volta alla settimana, Rominger ha conservato intatta la sua natura di pignolo ad oltranza. Ama l'ordine, la precisione, l'obbedienza alle regole. Ama il duello leale, disprezza i rivali che nicchiano, si nascondono o barano. «Non mi è piaciuto il comportamento di Berzin e di Ugrumov, sempre appiccicati alle mie ruote, a rimorchio. Ugrumov mi ha attaccato lealmente alla fine del Giro, Berzin è stato bravissimo alla penultima tappa. Io so riconoscere i meriti, così come non so tacere sulle cose che non vanno». Non ha mai temuto di perdere il Giro, si è reso conto dopo la cronometro di Assisi che avrebbe potuto spassarsela. Ha tagliato la testa di Berzin, di Ugrumov, di Casagrande in 19 km. Si è tolto la soddisfazione, per orgoglio, per sentirsi migliore di Indurain, di vincere anche in linea, a Loreto. In seguito, ha controllato la corsa. «Mai avuto paura d'essere sconfitto dagli avversari. Dalla cattiva sorte sì. Quella non hai nessun mezzo per combatterla». Gianni Ranieri Ordinato e preciso non ha mai avuto paura di perdere «Temevo soltanto la cattiva sorte» 7Q0 Giro 70" d'Italia La gioia di Lombardi, vincitore (sopra) dell'ultima tappa e (a fianco) quella di Rominger, maglia rosa
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