Una vita all'ombra di Joyce

« la memoria. Arriva in Italia il libro-testamento del fratello dello scrittore Una vita all'ombra di Joyce « Gli trovavo casa, gli pagavo l'affitto e i debiti» TRIESTE I 1 LI trovava casa, pagava I l'affitto di tasca propria, ■ li quietava la lunga fila dei AZJ creditori; e l'altro, noncurante, finiva sempre per dimenticarlo come si dimentica un ombrello. A Stanislaus Joyce - Starmie come lo chiamavano i familiari - nato a Dublino nel 1884 era destinata la peggior sorte: avere un fratello maggiore più intelligente e vivere nella sua ombra. II fratello, di due armi maggiore, è James Joyce, il grande scrittore dublinese, la cui complessa personalità, irrequieta e bizzarra, viene ridiscussa nel breve saggio scritto da Stanislaus nel '55 a Trieste, dove visse per oltre quarant'anni. Una sorta di testamento stilato tre settimane prima della morte e pubblicato ora per la prima volta in lingua italiana dalla Mgs Press Editrice di Trieste con il titolo Joyce nel giardino di Svevo, nel quale Stanislaus racconta l'incontro tra James e Italo Svevo avvenuto a Trieste nel 1905. Il volume, che propone anche la versione originale inglese e una serie di suggestive fotografie color seppia, consente di rimettere a fuoco l'enigmatica figura dell'Omero dublinese. Egoista, spendaccione, mortalmente annoiato dall'insegnamento e affatto percorso da crisi religiose al punto da indurre Stanislaus ad annotare: «Uno scrittore, Graham Greene, attribuisce addirittura la propria conversione al cattolicesimo alla lettura del Ritratto di un artista. Quale contorcimento mentale l'abbia portato a ciò, non riesco proprio ad immaginarmelo». Già, perché, a detta del fratello, James non fu mai l'uomo «che si tormenta dopo aver abbandonato l'antica Chiesa privo di sostegno morale senza la religione nella quale era nato». Al contrario: «Sono convinto - confida Stannie - che nel caso di mio fratello non ci sia mai stata nessuna crisi religiosa. Invecchiando, egli si sbarazzò della propria fede proprio come si era liberato delle varie forme di venerazione di culti letterari, perché avevano cessato di essere ispirazioni spirituali o intellettuali». Se sui presunti tormenti religiosi Stanislaus non verga giudizi troppo severi, diversamente commenta i difetti e le debolezze del fratello. Per cominciare, beveva troppo: «Quando nel '14 la guerra scoppiò ironizza il fratello minore in Ricordi di James Joyce, testo citato nel saggio introduttivo di John McCourt al volume della Mgs Press - le nostre strade si separarono. James potè andare in Svizzera, dove un medico gli disse che soffriva di anemia e che avrebbe dovuto bere vino. Il consiglio fu seguito alla lettera». Il peggio però doveva ancora arrivare. La guerra fece di Stanislaus un uomo indipendente e il rapporto tra i due fratelli non fu mai più quello di un tempo. Stanislaus sottolinea ancora John McCourt aveva sempre sofferto per l'interesse superficiale del fratello nei suoi confronti, un atteggiamento che ora non era più disposto a tollerare e dal quale sentì di doversi proteggere. Appena rimesso piede a Trieste, egli dovette affrontare ner l'ennesima volta i creditori di James e fu costretto a trovare a lui e alla sua famiglia, che di lì a poco sarebbe tornata da Zurigo, una nuova sistemazione. Ma non era più disposto a fare l'impossibile: «Otto anni fa ti trovai quartiere sbotta in una lettera indirizzata a James, datata 25 maggio 1919 -, badai al trasloco e pagai il primo affitto. Adesso ti ho pagato l'ultimo affitto e ho provveduto al trasloco delle tue cose. Frank ed Eileen hanno sudato per una settimana in quell'appartamento pieno di polvere e disordinato. Il tutto mi è costato quasi 300 lire. Sono appena uscito da quattro anni di fame e squallore e sto cercando di rimettermi in piedi. Pensi di potermi lasciare finalmente in pace?». Da quale fame e squallore Stanislaus uscisse è presto detto: durante la prima guerra l'amicizia con molti irredentisti triestini gli costò l'internamento a Katzenau, in Austria, e in altri famigerati campi di deportazione. Per Stanislaus, tra l'altro, i guai non finirono qui. Nel '36 il proprio convinto antifascimo lo costrinse al confino a Firenze, città dove fu lettore universitario di lingua inglese e dalla quale se ne andò quando potè per tornare a Trieste; qui visse nei panni di stimato e indefesso docente di lingua inglese all'Università. Il tacito messaggio che Stannie cercò di comunicare in tutti i modi a James oggi appare esplicito: gli ricordava, insomma, che non tutti erano riusciti a superare indenni guerre e rivolgimenti politici, e che ai suoi aerei tormenti dell'arte corrispondevano i propri concreti problemi quotidiani. In questo saggio che riporta aneddoti e curiosità di notevole interesse storico Stanislaus non risparmia tuttavia neanche altri due grandi: Eugenio Montale, la cui figura di sostenitore e divulgatore di Italo Svevo esce ridimensionata, e lo stesso autore della Coscienza di Zeno che il fratello James aveva lusingato: «Ma lo sa che Lei è uno scrittore negletto? Ci sono dei brani in Senilità che neppure Anatole France sarebbe stato in grado di scrivere meglio». Di Montale Stanislaus dice secco: «Se la fama di Svevo non fosse stata fatta a Parigi dubito molto seriamente che gli articoli di Montale sarebbero stati sufficienti da soli a questo scopo. A volte sono piuttosto astrusi...». E di Svevo: «Come uomo di mondo non era certo uno di quelli che soccombono nella lotta per la vita. Ma la debolezza più grave fu di permettere all'ottusità dei critici e ad una vita fatta di prosperità materiale (dopo il matrimonio di Svevo con Lidia Veneziani e l'acquisizione della direzione della ditta di vernici di proprietà del suocero, ndr) di frustrare la sua vita d'artista per così tanti anni». Elena Marco