Essere giovani significa...

Essere giovani significa... Essere giovani significa... LETTERE AL GIORNALE II modo migliore per aiutare le donne e Vinvisibile Rodolfo Valentino Bettazzi: non si avvia una vita indesiderata ha Stampa di giovedì 1 giugno riporta una lettera che mi riguarda (v. titolo: «Caro vescovo non siamo crociati») del Presidente del Movimento per la vita di Torino. Son rimasto molto meravigliato perché: 1) il Presidente, interpellato da Ivrea, aveva assicurato che non l'avrebbe pubblicata, ritenendosi soddisfatto della mia replica sui giornali (intervista a «La Stampa» e mia risposta alla lettera del Card. Saldarini); 21 dimostra di non aver letto il mio articolo, dove non si parla di «uscita di Baldassarre» né di «crociati»; 3) fidandomi che la lettera del Movimento per la vita non sarebbe stata pubblicata, avevo tolto tutte le risposte alle contestazioni della lettera nel mio ultimo intervento, in cui distinguevo nettamente i tre piani; a) dottrinale, in cui sono pienamente d'accordo con la dottrina della Chiesa (quindi col Papa e con i Vescovi del mondo); b) legislativo, teso a dare ordine ad un settore, purtroppo esistente, di realtà negative, ma che si deve cercare di limitare al massimo (i «mali minori»); c) pastorale, che mi ùiteressava maggiormente, per trovare il modo migliore di aiutare le donne, che sono «affidatarie della vita» da parte della stessa natura, quindi da Dio, non ovviamente nel senso di giudici arbitrarie quanto di portatrici e accompagnatrici privilegiate. Verso di loro deve orientarsi tutta la premura, anche dello State, con un'assistenza fatta di consigli, di sostegno anche finanziario, di premure sociali, proprio perché la donna si senta incoraggiata ed aiutata nel dono della vita. Per questo insistevo che, per rendere efficace anche una revisione della 194, bisognerebbe prima impegnarsi concretamente ad attuarne effettivamente tutta la parte Dositiva. Gli «altri» - a cominciart dal padre dovranno essere richiamati ùinanzitutto al dovere di evitare accuratamente di avviare una vita che nonsia desiderata, e, dopo, a quello di sentire la loro responsabilità di promotori della vita, in uno stile di rispettosa e cordiale solidarietà verso la donna. Mons. Luigi Bettazzi Vescovo di Ivrea All'attacco di un mito con giudizi improvvisati La Stampa ha squarciato il velo dell'oblio facendo uscire (primo giornale nazionale) un articolo intitolato «Valentino poeta d'oltretomba», in cui si parla della pubblicazione, per la prima volta in Italia, del libro di poesie scritte da Rodolfo Valemmo in inglese nel 1923, «Sogni ad occhi aperti», da me curato per la casa editrice Libreria Petrini di Torino. In merito all'articolo il cui titolo privilegia l'aspetto esoterico di queste poesie, il giornale pubblica una lunga lettera di MireÙa Caveggia, mercoledì 10 maggio, con il titolo «L'amore cieco di Rodolfo Valentino». Nella lettera si insinua tra l'altro il sospetto che i versi «attribuiti con assoluta certezza a Valentino, non siano il frutto della sua ispirazione». Se invece di limitarsi a leggere l'articolo, la lettrice avesse avuto meno fretta e la bontà di accostarsi all'introduzione del libro, avrebbe avuto l'occasione di leggere: «Non si può negare che l'ispirazione, il lavoro di cesellamento del contenuto, l'architettura del poemetto, siano il frutto di un incontro, di una comunicazione d'anime». Ma è altrettanto vero che il matrimonio con Natascia Rambova durò pochi anni e, anche dopo il divorzio, Valentino continuò a scrivere versi di un certo interesse. Chissà chi li avrà scritti, questa volta, forse Pola Negri, l'ultima presunta fidanzata? Quando le poesie furono pubblicate in America, si mise in dubbio non la paternità di Valentino, bensì la sua forza poetica: infatti, furono per lo più giudicate infantili e sentimentali. Oggi, dopo settanta anni di incredibile silenzio, si potrà dire che le poesie non appartengono a Valentino. La verità è che Rodolfo Valentino in Italia non ha avuto «visibilità» di storia e di mito. Si parla di lui senza fare verifiche, scivolando su errori persino biografici, come fa l'autrice della lettera quando dice che Rodolfo d'Antonguolla era il vero nome dell'attore. Una confusione con un nome d'arte ricavato da un titolo nobiliare rivendicato dalla famiglia Guglielmi. Prima di attaccare un mito (operazione legittima e intelligente) forse è il caso di provare all'inizio, con umiltà e onestà intellettuale, a individuarlo, a storicizzarlo. Nella mia ricerca credo di aver posto non solo «il cuore e la mano», come mi si riconosce, anche un po' della mia mente. Non l'amore sovente è cieco, ma ogni giudizio improvvisato. Antonio Miredi, Torino Referendum, il diritto di votare e astenersi Sicuramente, in vista delle prossime votazioni dodecareferendarie sarà solennemente richiamato l'articolo 48 della Costituzione: «Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico». Anzitutto, in linea generale, mi permetto di rilevare la contraddizione: il voto come dovere non può coesistere con la sua segretezza. Infatti non vota affatto chi, dopo una sosta in cabina, depone nell'urna una scheda bianca o accuratamente annullata. Chi si comporta in tal modo è un non votante, indubbiamente più «subdolo» di chi apertamente si astiene. Ma poi, in particolare, con riferimento ai referendum, è la stessa Costituzione che dà per scontato, proclama il diritto di astensione. Vale, in proposito, il successivo articolo 75: «E' indetto referendum popolare per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge, quando lo richiedano cinquecentomila elettori... Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se si è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi». Sembrano inutili particolari spiegazioni: se i cittadini «hanno diritto di partecipare» significa, parimenti, che essi hanno il diritto di non partecipare, di astenersi. avv. Vincenzo Giglio, Milano Rusconi, i meriti di Luciano Simonelli Tutti sanno che dietro un libro c'è un autore. Non tutti invece si ricordano che c'è anche un direttore editoriale, che quel libro ha scelto e dato alle stampe. Il direttore editoriale scrive, per così dire, attraverso i libri dei suoi autori, e compone un libro dei libri: quel catalogo che è la vera identità di una casa editrice. Ora, pochi giorni fa, Luciano Simonelli, direttore editoriale della Rusconi Libri, è stato bruscamente costretto a lasciare il suo posto. Non sono tempi teneri, e la solidarietà non è di moda. I fatti però dovrebbero esserlo sempre. Ci limitiamo quindi a ricordare che Simonelli in 20 mesi di lavoro ha pubblicato 198 titoli tra novità e ristam¬ pe, raddoppiandola produzione; ha creato collane economiche di storia, filosofia e biografie, mettendo a disposizione al prezzo di una sera al cinema testi di Pascal, Nietzsche, Seneca, Buddha, Hegel, Agostino («Sulla bugia» ha avuto recensioni di Eco e Dorfles); ha portato due libri in finale al Premio Bancarella; ha fondato la collana «Memorie del '900» inserendovi fiabe poco note della Deledda, un testo di Paola Masino e l'autobiografia di Coccioli; ha guardato al mercato pubblicando «L'Arca» di Licia Colò, «Di papà ce n'è uno solo» di Micali e «Lifting al cuore» di Paolo Mosca; ha riordinato la collana di narrativa suddividendola in tre filoni che spaziano dalla letteratura al giallo; ha continuato la tradizione del marchio «Idea Libri». E con l'«Enciclopedia cronologica delle scoperte e delle invenzioni» di Giorgio Rivieccio non ha neppure dimenticato la cultura scientifica. In più, ha concesso ai nuovi autori un'attenzione insolita nella nostra editoria. Per tutto questo, crediamo, i lettori gli devono molto dal punto di vista culturale. E noi, che lo conosciamo personalmente, ricordiamo anche la sua amabilità. Una dote, purtroppo, sempre più rara. Piero Bianucci, Bruno Ventavoli Magdalen Nabb, Brunella Lotterò, Gianna Baltaro Andrea Malocchi «Pace interiore la vera rivoluzione» Ho letto con piacere il bellissimo resoconto fatto dal ministro Agnelli sul ruolo dell'Italia come mediatrice costante per la soluzione del conflitto jugoslavo. «Perché un pensiero cambi il mondo, bisogna che cambi prima chi lo esprime», ha detto Albert Camus. Noi italiani democratici, ci auguriamo che la conquista della pace interiore sia la vera rivoluzione, per porre fine a quella voragine di tristezza che pervade da anni la nostra impoten- Lydia Carta Lo Cuoco, Bologna

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