«I referendum offesa alla gente»

«I referendum, offesa alla gente» «I referendum, offesa alla gente» ST. ■ ~ La Pivetti: italiani trattati come bambini IL PRESIDENTE DELLA CAMERA IL maggioritario? E' un passaggio, non una religione. I cattolici? E' assurdo arrivare allo scontro diretto: si perde incisività e si fa del male alla Chiesa. I referendum? Un'offesa agli italiani». A 7 giorni dall'appuntamento dell'I 1 giugno, Irene Pivetti non vuole entrare nella polemica. Ma !e sue opinioni sono nette, senza ipocrisia. Presidente Pivetti, la sua nomina alla presidenza della Camera era stata salutata come un simbolo del rinnovamento politico. Quello stesso rinnovamento che oggi sembra in frenata. E'd'accordo? , «La transizione, in democrazia, è un processo molto lungo. Oggi e caduta la spinta emotiva che c'era all'inizio. E non poteva essere che così: l'emozione va bene all'inizio, poi devono subentrare la costanza e l'applicazione». Un altro dei simboli del cambiamento era il maggioritario. Eppure molti oggi rimpiangono il proporzionale. Si è «pentita» anche lei? «Vede, noi ci aspettavamo una semplificazione della politica, una riduzione dei partiti. E invece nella scorsa legislatura avevamo tredici gruppi parlamentari, esattamente come adesso. Però le formazioni politiche che oggi si qualificano come partiti sono trentanove. Con il maggioritario si pensava di dare alla politica più governabilità, più efficienza, senza perdere in democrazia. E sinceramente non so se questo 6 accaduto. D'altra parte una riforma elettorale va collaudata. Ogni Paese deve trovare il "suo" sistema migliore». E per l'Italia quale sarebbe, il «sistema migliore»? «Lo stiamo ancora cercando. Non è un caso se da noi convivono leggi elettorali diverse. E poi la prolificazione dei soggetti politici non è un problema che si risolve con le leggi. Ci sono partiti che sono esplosi in mille schegge». Sta pensando alla de? "No, la de non è esplosa, si è spezzata in tre o quattro pezzi. Un partito che è esploso, ad esempio, e il partito socialista». Però la de era il simbolo del Centro. Quel Centro che sembrava tagliato fuori dal maggioritario e che invece sembra essere un «vizio» (o se preferisce una virtù) della politica italiana. O no? «Gli italiani sono magari passionali di carattere, ma in politica sono moderati: è una nostra caratteristica, e non vedo perché dovrebbe trasformarsi in un complesso. Il Centro è il luogo dove si possono trovare interessi comuni, dove si fondono tante identità diverse. Il Centro italiano, che per sua natura ha sempre avuto un'ala destra e una sinistra, è stato "strappato": i moderati sono stati forzati a scegliere tra due schieramenti opposti. E' stato un esperimento, un passaggio della nostra vita politica. Ma non vedo perché debba essere definitivo». Presidente, però si sono due modi di vedere il Centro. 0 lo si rappresenta con un grande partito, oppure si fa in modo che i moderati di Centro «servano» a far vincere ora la sinistra ora la destra... «Guardi che si può anche intendere il Centro non come un partito, ma come una coalizione. E allora diventa protagonista in proprio, decide lui se unirsi alla destra o alla sinistra. Sono le estreme che contribuiscono alla politica del Centro, non il contrario». Però la de era il partito catalizzatore del mondo cattolico. Ora le forze che dicono di rifarsi ai valori cattolici si sono moltiplicate. Per i cattolici, è un vantaggio oppure no? «L'idea che i valori cattolici si siano rafforzati è piuttosto diffusa. Ma è vera solo sul piano formale. Nelle ultime amministrative c'è stata una rincorsa al cattolico che giudico quasi oltraggiosa. Spesso l'elettore deve scegliere tra candidati che si definiscono tutti cattolici. Quando è così - anche se gli interessati non lo ammetteranno mai - si scatena la corsa a chi è "più" cattolico degli altri. Ci si disperde, si diventa meno incisivi. Le divisioni politiche si riflettono anche all'interno della Chiesa. E questo è un male: l'unità dei cattolici, sui valori, è un bene assoluto». Mi perdoni, presidente, ma la contrapposizione dei candidati è nella logica del maggioritario. Non crede? «E allora bisogna decidere se il maggioritario è un bene oppure un male. E' il sistema che deve adattarsi alle esigenze del Paese, non il contrario». Presidente Pivetti, da mesi si parla di elezioni. C'è la possi¬ bilità che un governo tecnico come quello di Dini possa continuare oltre le famose «quattro emergenze» e superare l'autunno? «Un governo è sempre un governo politico, anche quando è fatto di tecnici. Governare significa fare delle scelte, e scegliere è sempre un'azione politica. Quanto può durare Dini? Dipende anche dai referendum, che pure in teoria non c'entrerebbero nulla con la vita del governo». Ma questi referendum non si potevano evitare? «Ci sono stati moltissimi tentativi per trovare un'intesa. L'accordo è fallito perché si è scatenata una battaglia simbolica che poco aveva a che fare con il contenuto delle leggi». Dica la verità, a lei i referendum non piacciono. Vero? «Le dirò: io credo che questo sistema sia offensivo per la gente. La Costituzione intende i referendum come una sorta di tribunale d'appello, un giudizio di controllo e di garanzia che i cittadini sono chiamati a dare su alcune decisioni del Parlamento. Ma ritagliare qua e là parti di leggi o piccoli commi significa frodare la gente, ingannarla sul bene più prezioso: la libertà. Tu hai la libertà di votare. Votare cosa? Non si sa... In questo modo gli elettori sono costretti a fidarsi ciecamente di quanto raccontano i sostenitori del Si e del No. Non si possono trattare gli italiani come bambini. E' davvero offensivo». Per la prima volta dopo molti anni le donne sono tornate in piazza. Che ne pensa? «Il femminismo è stato una stagione storica, che ha avuto qualche merito: con le sue rivendicazioni ha fatto emergere i problemi, ma non ha mai fornito soluzioni. Personalmente non mi sono mai posta il problema se considerarmi femminista o no. Ho sempre dato per scontato che mi fossero dovute le stesse cose che sarebbero state dovute a un uomo. E quando questo non avveniva, ho fatto in modo che avvenisse». Quindi lei, in politica, non si è mai sentita discriminata? «Diciamo che ci sono stati molti tentativi di farlo, ma alla fine credo di essere riuscita a superarli. E senza rivendicazioni, ma prendendo le cose di petto. Le racconterò un episodio: una volta ho partecipato a un dibattito sulle donne in politica. Tra le-partecipanti c'era una deputata che in quel momento presiedeva una commissione par¬ lamentare, una donna che si definiva femminista e che in seguito è slata anche inquisita, il che dimostrerebbe che non è vero che le donne sono per natura più oneste degli uomini. A questa signora chiesero come faceva, lei donna, a presiedere una commissione formata prevalentemente da uomini. La sua risposta mi lasciò interdetta. Disse: "Come faccio a casa: un po' gli dò ragione, un po' cerco di sdrammatizzare, un po' mi impongo con l'autorità". Questo atteggiamento è come minimo masochista, e sicuramente privo di dignità. Se io, per presiedere l'aula, dovessi essere materna, compren¬ siva o magari accattivante sarei perduta. Io esercito la mia autorità di presidente, e pretendo che sia rispettata per la carica che rappresento. Ed esigo la stessa severità verso di me: se sbaglio non posso cavarmela con un sorriso. Sarebbe più facile, ma io alle moine proferisco i ragionamenti politici». E il fatto di essere cattolica l'ha aiutata o no nella sua presidenza? «Intanto sgombriamo subito un equivoco: non esiste un modo cattolico di far rispettare il regolamento della Camera. Ma io so che del mio comportamento rispondo in prima battuta al Parlamento e al Paese, ma alla fine rispondo a Dio. Un cattolico non può barare...». Ma questo non è un limite al cosiddetto cinismo della politica? «Beh, non credo proprio di essere cinica. Anzi, a volte sono un po' ingenua...». Allora il cinismo non è obbligatorio? «Il cinismo è soltanto un anestetico. Inizia come anestetico dell'anima, perché fa soffrire di meno. Ma poi diventa un anestetico dell'intelligenza». Guido Tiberga «I cittadini costretti a votare fidandosi ciecamente dei sostenitori di sì o no: truffa alla libertà» «Il maggioritario è un passaggio, non una religione: stiamo ancora cercando il sistema migliore» «Questo Paese si governa al centro, adesso i moderati sono "strappati" ma si tratta di una fase di transizione» «I cattolici non si devono fare la guerra» fe, ^^^^ ^^^^B8^ ^^^J^^^^^^^^J^^ \ B *«j^Hfll WMmKT*- "tBS'wIH | M ESjjjfe i!3M IHj^B , ^SmUl gfl - Jfc/jH| \ | |g ^/'jjjOj | 1 , Hiinlt H—is-lr Ul>--^T ^B„JB I Da sinistra il premier Lamberto Dim e Romano I Irene Pivetti e Silvio Berlusconi, a destra Massimo D'Alema

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