Nessun colpevole per la strage del Pilastro

Nessun colpevole per la strage del Pilastro Bologna, il padre di uno degli imputati interrompe la lettura del verdetto per gridare: «Viva la giustizia» Nessun colpevole per la strage del Pilastro Ma la confessione dei Savi non cancella le ombre sull'inchiesta BOLOGNA. Assolti. La strage del Pilastro - tre giovani carabinieri trucidati il 4 gennaio 1991 - si aggiunge al lungo elenco dei delitti impuniti di Bologna. Per il giudice della corte d'assise - che ieri alle 11,02 ha emesso il verdetto a 19 mesi dall'inizio del dibattimento e dopo 144 udienze - i pilastrini William e Peter Santagata e Massimiliano Motta e il camorrista Marco Medda - non hanno ucciso Andrea Moneta, Otello Stefanini e Mauro Mitilini. Il presidente della corte, Sergio Cornia, ha appena il tempo di pronunciare la prima frase, quando la folla esplode in un lungo applauso. Pasqualino Santagata, due figli imputati per i quali il pm Giovanni Spinosa aveva chiesto il carcere a vita, non trattiene la gioia: «Viva la giustizia», urla più volte. All'insegna del dolore e della rabbia invece la reazione di Annamaria Stefanini, madre di Otello: «Questa sentenza è l'effetto della relazione di Di Pietro sul¬ la Uno Bianca». La confessione dei fratelli Savi («Siamo stati noi hanno detto ai giudici il poliziotto killer Roberto e il fratello Fabio a sparare al Pilastro»), il ritrovamento delle armi usate la notte dell'eccidio nell'arsenale della famigerata banda e le critiche rivolte alle indagini dal più celebre dei magistrati del pool di Mani Pulite si sono abbattute sul processo con l'effetto di un ciclone. Ma l'impianto accusatorio di Spinosa (che aveva chiesto l'ergastolo anche per Medda e 14 anni per Motta), secondo il quale c'è un legame tra gli imputati e i poliziotti killer della Uno Bianca, non esce sconfessato dal verdetto, emesso in base al secondo comma dell'articolo 530 del codice di procedura penale, che ha in pratica reintrodotta la formula dell'assoluzione per insufficienza di prove. Commenta Spinosa: «Non abbiamo perso né una battaglia né una guerra». E il procuratore aggiunto Persico: verdetto aperto. Per la difesa è un successo. Ma la sentenza lascia aperti interrogativi di grande importanza: non dice che vi è mancanza della prova, ma che c'è contradditorietà tra gli indizi raccolti. Gli investigatori, in sostanza, dovranno lavorare ancora per cercare la verità vera, tra le tante verità. Nel verdetto si lascia intendere, ad esempio, la presenza di Medda a Bologna il 4 gennaio 1991, quando, per il giudice Spinosa, rimase anche ferito ad un piede. L'ex braccio destro di Raffaele Cutolo, che resta in galera per altri reati, è stato condannato a tre anni per ricettazione: riguarda un'Alfa 164 che fu trovata semi distrutta, poco dopo l'eccidio. Per il pm, è uno degli indizi che collega Medda al Pilastro. La corte ha riconosciuto che l'auto era nella disponibilità di Medda, ma ha giudicato l'indizio del collegamento troppo labile. A favore della tesi accusatoria, anche l'invio - disposto dalla corte - di atti alla procura per la valutazione delle posizioni di 16 testi della difesa: avrebbero testimoniato il falso confermando l'alibi dei tre pilastrini. In sostanza, i giudici non hanno sconfessato la «superteste» del processo, la diciassettenne Simonetta Bersani, ex amica dei fratelli Santagata, diventata la loro grande accusatrice (ha sostenuto di averli visti quella notte attorno all'auto dei carabi- nieri e di avere visto dei bagliori di fuoco davanti alle mani di Peter), dimostrando anzi di credere al suo racconto. Nel lotto dei testimoni su cui pende un'indagine per false dichiarazioni manca poi quello che ha raccontato di avere visto quattro banditi far fuoco contro la vettura dei militari per poi fuggire a bordo di un'Alfa 33. Per i giudici, quindi, come per il pm Spinosa, il «quarto uomo» esi¬ ste, nonostante la sua esistenza sia invece negata dai fratelli Savi. Riassume, stanco, ma sereno, Spinosa: «Lo spessore dell'ipotesi accusatoria viene confermato. La sentenza è una chiara risposta a quelle ipotesi che vorrebbero frettolosamente chiudere l'inquietante capitolo della banda della Uno Bianca». Marisa Ostolani I giudici non hanno sconfessato la «superteste» del processo per l'assassinio dei tre carabinieri La moglie di Massimiliano Motta, uno degli imputati assolti al processo per la strage del Pilastro, piange per la gioia, tra le braccia dell'avvocato

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