Fini: macché conservatori siamo futuristi del Duemila

IL LEADER macché conservatori futuristi del Duemila IL LEADER SCOPRE MARINETT! ZANG Zang Tuumb, lasciatelo divertire: Gianfranco Fini è diventato futurista, anzi neo-futurista. La conversione - poiché di conversione si tratta, dopo tante messe celebrate da cardinali, e riciclati accolti a braccia aperte, spedizioni al "Gilda" con foto sul Messaggero e commemorazioni almirantiane al Grand Hotel - è avvenuta ieri al convegno «Bit e Polis: come l'informatica sta cambiando la politica», organizzato dal responsabile culturale di An Gino Agnese. Ha detto Fini: «Vogliamo tornare a dar forza a uno dei tanti filoni che hanno composto la destra italiana in questo secolo: ecco perché posso tranquillamente affermare che la destra è culturalmente futurista». Un tranquillo futurismo culturale, e addomesticato. Di quello storico movimento che voleva fare tabula rasa, di quella smania vitalistica proiettata nel tripudio estetico dei sensi, degli istinti e della volontà di potenza, il presidente di An - sempre così perbene, così attento alle forme ha recuperato infatti il significato più neutro ed elementare: «Siamo una destra in qualche modo volta ad anticipare più che a rincorrere - ha spiegato con le dovute cautele -. Non abbiamo paura del nuovo, anzi cerchiamo di anticipare e prevedere il futuro». Sulla platea, insomma, resa ancora più assortita dalla presenza del compassatissimo professor Fisichella e del professor De Mattei, che più cattolico e più tradizionalista non si può, nemmeno con Lefebvre, non sono risuonati gli echi più trasgressivi. Giusto un pallido e doveroso accenno al Marinetti che sognava «la distruzione del chiaro di luna». Quando poi, sempre Fini, ha invitato questa sua destra ex ministeriale «a far proprio il mito di Ulisse che decise, senza temere l'ignoto, di superare le colonne d'Ercole», beh, a quel punto - e senza offendere - l'effetto era quello di una specie di Occhetto post datato. Se si considera, inoltre, che proprio l'ex segretario del pds è colui che ha coniato o riadattato, sembra, dal poeta Roversi - l'espressione «gioiosa macchina da guerra», il pacifico exploit culturale del leader di An non sarebbe da considerarsi una svolta epocale. Può anche darsi, con lettura dichiaratamente maligna, che Fini l'abbia buttata lì, questa storia del futurismo, giusto per ringraziare Agnese, persona cortesissima e valente biografo di Marinetti; o per regalare un titolo di giornale al convegno della cyber-destra, ben altrimenti interessante. E tuttavia, depurato dall'aspetto scenico, propagandistico e propiziatorio, il suo pur tenue richiamo al movimento futurista, la cauta rivendicazione di quella corrente di pensiero e d'azione che si proponeva «sintesi», «simultaneità», «distruzione della sintassi», «parole in libertà», «immaginazione senza fili», «sensibilità geometrica e numerica» qualche cosa in comune con le nuove frontiere della telematica ce l'hanno pure. Il punto, semmai, a parte i computer, è che l'eredità marinettiana già da tempo s'era dissolta nel mare magnum di una politica senza più confini, né identità distinte, gelose ed esclusive come un tempo. Anche il msi, poi An, ha sempre avuto naturalmente i suoi post-futuristi, più o meno - occorre aggiungere - aperti a deviazioni e soggetti a incantamenti vari. Le ragazze del rautiano «Centro Studi Futura», ad esempio, hanno lavorato seriamente sul concetto di quella «donna muliebre», «con tratti di etica virile», che fu cantata negli anni Venti e Trenta. «Futurista», con lampi libertari e curiosità a 360 gradi, si può definire con una certa approssimazione Pietrangelo Buttafuoco che non molto tempo fa propose un «Eccitatolo», come dire «un'assemblea di pazzi guidati da un venerando per far incontrare delle intelligenze in questa fase politica nuova». Ma la figura dominante nell'ambiente missino è pur sempre quella del futurista inconsapevole, sociale e un po' ma¬ nesco. Oppure del futurista, anch'esso ignaro, ma mite, poliedrico e proiettato verso un domani commerciale, abbagliante, incongruo e plastificato ai confini e spesso oltre i confini del trash (che vuol dire spazzatura). Per capirsi: da Teodoro Buontempo, cui non sarebbe neppure giusto chiedere se preferisce 1'«automobile ruggente» alla battaglia di Samotracia, fino a Roberto Iannarilli, cognato di Fini e creatore di pupazzoni e gadget tra cui l'orologio-reverse che si gira trasformandosi in braccialettone. Per il resto, ossia fuori dall'ambiente di An, di futurista non c'è che l'imbarazzo della scelta. Di rigore certe indimenticabili performances pannelliane, tipo andare in tv con il bavaglio. Come pure a suo tempo - dicono gli esperti - certi settori giocherelloni dell'Autonomia e, per la musica, sempre a sinistra, il complesso degli Area che cantava, con Marinetti, «Gli dei se ne vanno/ gli arrabbiati restano». Poi c'è Bossi. Con un dotto saggio, ricco di esempi e intitolato «La Lega ce l'ha crudo», Roberto Jacopini e Stefania Bianchi hanno dimostrato una certa consonanza tra il linguaggio del senatur - «iperbolico e colorito, naif, tra l'aggressivo e il goliardico» - e quello dei futuristi. Poi, secondo alcuni, c'è Giulianone Ferrara, che cerca l'effetto immediato, esce dal bidone dell'immondizia e si fa fotografare con le unghiacce di Nightmare. Secondo altri, al contrario, c'è la fulmineità analogica di Blob. Su tutti, infine, Vittorio Sgarbi e il suo estetismo disubbidiente. Per raggiungerli, comunque, Fini deve fare ancora molta strada. Filippo Ceccarelli «Alla cyber-destra non fa paura il nuovo Vogliamo anticiparlo come Ulisse con le colonne d'Ercole» ano di o ra al iv e a a e o: rti con DAlema, e Luciano Violante. esidente della Ca a spiegare a Bot che con il sena sbagliato tutto, le regionali, inveo, lo hanno snob¬ In alto: Gianfranco Fini A sinistra: Teodoro Buontempo A destra: Filippo Tommaso Marinetti in una foto «ritoccata» dal pittore Fortunato Depero In alto: Gianfranco Fini A sinistra: Teodoro Buontempo A destra: Filippo Tommaso Marinetti in una foto «ritoccata» dal pittore Fortunato Depero

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