IL PROFITTO E IL PECCATO

IL PROFITTO E IL PECCATO IL PROFITTO E IL PECCATO GUARDATI dall'uomo di un solo libro», ama dire Antonio Fazio, citando San Tommaso d'Aquino, una delle sue letture preferite, insieme ai saggi sul monachesimo in Italia. E ieri mattina, rendendo omaggio alla massima che predilige, ha forse deluso quanti si aspettavano che il governatore cattolico, alle sue terze Considerazioni finali lette nel Salone dei Partecipanti - calcato il più delle volte nella storia da governatori di cultura azionista e laica -, avrebbe finalmente gettato la maschera, con un discorso a senso unico, venato magari di solidarismo, volontarismo, dossettismo, comunque di spirito antindustriale, se non confessionale. Le premesse erano tutte nella polemica strisciante della vigilia sui profitti crescenti delle imprese: sono davvero così crescenti i profitti? E se lo sono - e non sono reinvestiti - è davvero un peccato? Ma nella Sala della Madonnina, dove, laicamente, nei giorni che precedono l'assemblea si tengono letture collettive delle Considerazioni da parte del direttorio, era stato licenziato, per la verità, un testo secco come un colpo di fucile, scritto come col regolo di un geometra (professione che Fazio ha svolto prima di diventare un fine economista), nel quale è arduo trovare il filo di una cultura dominante o comunque tracce di integrismo. Alberto Staterà CONTINUA A PAG. 3 SECONDA COLONNA

Persone citate: Alberto Staterà, Antonio Fazio, Tommaso D'aquino

Luoghi citati: Italia