In cima al monte Martello covo dei cannoni croati di Giuseppe Zaccaria

In cima al monte Martello covo elei cannoni croati NELLA KRAJINA IN FIAMME In cima al monte Martello covo elei cannoni croati SLIVNO I chiama Veliki Bat, la montagna, e il fatto che in italiano il suo nome suoni come Grande Martello non fa che renderla ancora più minacciosa. Dal punto di vista dei serbi, almeno. «Guardi, quella è la loro capitale»: il maggiore della Hvo che funge da guida e controllore porge soddisfatto il binocolo. L'aria è chiarissima, la visibilità perfetta: quel villaggio che si nota a fondovalle si chiama Uniste, e la macchia grigia che s'intravede più in fondo è proprio Knjn, capitale della «Sao Krajina». «In linea d'aria siamo esattamente a diciotto chilometri», continua soddisfatto l'ufficiale. «Un'altra provocazione, e si pentiranno di quello che hanno fatto a Zagabria». Parla, naturalmente, dei missili di un mese fa. Sarà solo un'impressione ma vista da qui, dal massiccio del Dinara, dove i croati di Erzegovina hanno ammassato missili e cannoni, la nazione serba non sembra poi così invincibile. Le batterie sono piazzate anche più in alto, sul Crni Vrh (Monte Nero: certi nomi hanno potenza evocativa impressionante) e se fosse necessario sono pronte a martellare la piccola capitale, a sua volta in grado di martellare Livno, Sebenico, Zara e volendo anche Spalato. Gli scambi di granate, raccontano, qui sono frequenti ma soprattutto dimostrativi. E' nelle ultime ore, invece, che la tensione ha preso a farsi quasi palpabile. Di qui parte il tormentato territorio serbo che dalla costa Adriatica avvolge come un ferro di cavallo quel che resta della Bosnia-Erzegovina, tornando sulla costa quattrocento chilometri più a Sud dopo aver tagliato Sarajevo, Zepa, Goradze fuori dal mondo civile. Laggiù ha colpito la Nato, qui serbi e bosniaco-erzegovesi potrebbero riprendere a scannarsi direttamente. Appena l'altra sera il cosiddetto parlamento di Pale ha sfiduciato il primo ministro. L'accusa: era troppo «morbido». Borislav Mikelic, ex commerciante di salumi, contendeva la guida della Krajina di Knjn al presidente Milan Martic, ex poliziotto. Veniva ritenuto un moderato anche dagli interlocutori di Zagabria. L'altra sera due terzi dello sgangherato parlamentino si sono riuniti in tutta fretta e l'hanno fatto fuori: adesso, a prevalere sono i «falchi», quelli che si battono perché serbi di Krajina e serbi di Bosnia, Martic e Karadgic, al più presto diventino cittadini di un Paese solo, con un solo parlamento, un solo esercito ed un solo leader (indovinate quale). E' in qualche modo illuminante valutare adesso la situazione da queste alture. Sapete, quest'oggi la Croazia celebra il quinto anniversario della sua proclamazione in repubblica, e tutte le tv di Erzegovina ritrasmettono le trionfali immagini che giungono da Zagabria, anzi dal lago di Janni. Sfilate militari, inni e cantori, majorettes e reparti in costume d'epoca, jet che sorvolano minacciose colonne di blindati. Anche Franjo Tudjman, il presidente, sembra aver ceduto all'incalzare degli avvenimenti: adesso appare in piedi su una «jeep» e indossa un'incredibile divisa bianca. Attenti ai segnali: quella divisa ricorda tanto, ma tanto da vicino la «mise» che il maresciallo Tito cominciò ad indossare quando sentiva di avere attraversato la soglia fra il potere e il mito. Ma da qui, da questo monte, dove ci si potrebbe divertire a tirare sassi sui serbi di Krajina, è possibile ascoltare chiaramente anche la loro radio, la loro voce. «La commissione speciale ha proseguito quest'oggi nel suo lavoro», fanno sapere da Knjn. La commissione, è quella che sta fissando i tèrmini dell'unificazione fra Knjn e Pale. Sì, proprio unificazione: Mikelic sosteneva l'idea più blanda di una federazione fra serbi ma adesso è stato messo in condizioni di non nuocere. Avrebbe dovuto celebrarsi proprio oggi, la nascita di questo nuovo, improbabile Stato, il voluta contemporaneità con l'esibizione di muscoli croata. Adesso però pare ci sia qualche problema, la cosa è slittata di qualche giorno. Eppure fa paura. Fa paura a Belgrado, che per bocca del ministro degli Esteri Jovanovic la definisce «un'idea pazzesca, un atto suicida». Ci si può unificare in tempi di pace, dicono i padri della patria serba, non in una situazione come questa: «Un atto del genere è volto coscientemente a coinvolgere Serbia e Montenegro nella guerra». Ancora una volta, Belgrado vede lungo: un unico Stato serbo, piazzato a ferro di cavallo per metà in territorio croato e per l'altra in quello bosniaco, rappresenterebbe solo un problema in più. Potrebbe spingere la Croazia a entrare in guerra sul serio, i serbi della montagna a chiedere aiuto ai fratelli di Jugoslavia, metterebbe questi ultimi dinanzi all'alternativa fra l'intervento o il «tradimento». Troppo pericoloso. E prima di pensare all'unificazione, c'è qualche altro dettaglio a cui badare. «I soldati di Ozren e Vokuca chiedono a tutti gli uomini con sangue serbo nelle vene di fermare l'offensiva dei musulmani», insiste la radio. E' vero, pare che i bosniaci stiano avanzando ad Ovest di Tuzla, verso un monte di enorme importanza strategica. E' un appello al volontariato etnico che comincia ad assumere toni disperati. Parlavo prima delle scoperte che a volte si fanno in montagna. Con l'ufficiale erzegovese, tornando verso Livno, scherzavo sul significato sinistro dei nomi di quelle montagne. *Se è per questo - ha risposto - i serbi hanno il generale Mladic». Il cognome si traduce come «giovanotto» ed il nome di battesimo, Ratko, significa «guerriero». Giovanotto Guerriero: che stupido, a non averci mai pensato prima. Il generale Ratko Mladic, feroce tagliagola balcanico, aveva il destino scritto nel nome. Giuseppe Zaccaria wÉlltllllliiil «Da quassù possiamo spianare la loro capitale» Ma «loro» possono colpire Sebenico la costa dalmata Zara e Spalato Nella foto in alto un Casco blu francese ferito Qui sopra la tv di Karadzic mostra alcuni ostaggi inglesi A sinistra il generale Mladic SÌ

Persone citate: Borislav Mikelic, Franjo Tudjman, Janni, Jovanovic, Karadzic, Martic, Milan Martic, Mladic, Ratko Mladic