Alla ricerca del soldato di ghiaccio di Gabriele Romagnoli
Alla ricerca del soldato di ghiaccio LA STORIA Alla ricerca del soldato di ghiaccio IL capitano Berni era solo nella sua baracca, la sera del 31 agósto del 198. I ghiacci splendevano ai 3678 I metri eli punta San Matteo. La luce della lampada illuminava ! le ginocchia che gli servivano ] da scrittoio. Ascoltava le voci | degli alpini che giocavano a carte nella baracca di fianco, i passi di ciucili che montavano la guardia. Scriveva a suo padre: -Dal primo del mese ho faticato molto. Solo l'entusiasmo e lo spirito del dovere mi hanno sorretto. Se quel che ho fatto e sofferto non sarà conosciuto, sarò contento lo stesso». Triste e solitario come soltanto chi è al finale può essere. Pochi giorni dopo, gli austriaci avrebbero riconquistato il San Matteo, travolto le sue difese, ì decimato la sua compagnia. 11 suo corpo sarebbe scomparso e la sua storia con lui. Sepolta dai ghiacci. Il capitano Magrin lascerà il suo bivacco, una mattina di agosto del 1995 e ripartirà a piedi, ancora una volta, verso le nevi del San Matteo. Ha già fatto dodici spedizioni negli ultimi due anni. Ha ricostruito le vicende della battaglia più alta del mondo, che gli archivi volevano cancellare perché fu una sconfitta e provocata da errori. Ha ritrovato armi e oggetti personali, divise senza corpo e scheletri senza nome. Questa volta, se il disgelo lo aiuterà, è sicuro di arrivare alla meta della sua ricerca: al capitano di ghiaccio sepolto sotto una galleria di cristallo che da quasi ottantanni aspetta qualcuno che lo riporti alla luce. E' sicuro di trovarlo intatto, il volto giovane come nelle fotografie che si è tatto dare dai familiari. Anche se al capitano Berni non importava che «quel che ho fatto e sofferto» venisse conosciuto, il capitano Magrin ha imparato ogni cosa che era possibile imparare di lui e in tante delle cose che ha scoperto si è riconosciuto, così alla line cercare quell'uomo che ha la sua stessa divisa è diventato cercare una parte di se. Spedizione dopo spedizione ha trovato tre scheletri non identificabili che ha fatto seppellire a valle, decine di munizioni, curiosi cimeli che ha conservato: una bandiera di segnalazione, un fazzoletto che reca stampato il vademecum del buon soldato, le carte da gioco nella baracca degli alpini italiani e un libro in quella dei militari austriaci, titolo: «Weissere Narzisscn», ossia «Narcisi bianchi». Così ha capito che, a quasi quattromila metri d'altezza, in quell'estate in cui la guerra stava ormai finendo, prima di affrontarsi in uno scontro sanguinoso, ma capace di cambiare solo i destini individuali, i soldati italiani ingannavano la paura giocando a ramino, quelli austriaci leggendo romanzi d'amore. Poi, la sera del 3 settembre 1918, si sono scannati, nell'ennesimo episodio di una strana guerra cruenta e cavalleresca. Poche settimane prima gli italiani avevano tolto agli austriaci il San Matteo, poi vincitori e vinti si erano fatti fotografare insieme, scambiandosi gli elmetti, come fanno i calciatori a fine partita con le maglie, sorridendo Gabriele Romagnoli CONTINUA A PAGINA 2 PRIMA COLONNA
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