Karadzic rovina il debutto a Chirac OSSERVATÒRIO di Aldo Rizzo

Karadzic rovina il debutto a Chirac OSSERVATÒRIO Karadzic rovina il debutto a Chirac Wiiiiiiiiiai EL quadro bosmaco, che si aggrava, anzi precipita, ogni giorno, ogni ora di più, un Paese in particolare è nell'occhio del ciclone. Questo Paese è la Francia. Suo è il maggior numero di caschi blu, suo è il maggior numero di perdite fra gli stessi soldati dell'Orni. E suo, in conseguenza, è il senso maggiore di frustrazione e di rabbia, per l'impotenza delle Nazioni Unite davanti all'aggressione sempre più violenta e sfrontata delle milizie serbe. Questo accade all'indomani dell'insediamento del nuovo Capo dello Stato, Jacques Chirac, e del nuovo governo, guidato da Alain Juppé. Entrambi invocano un «cambiamento» all'interno della Francia, e dei suoi problemi socioeconomici, ma anche un più risoluto atteggiamento esterno, nel ricordo, in qualche modo, di Charles de Gaulle. Può derivarne una svolta nell'insieme dell'approccio europeo e occidentale alla crisi bosniaca? Anche prima di Chirac, la Francia di Mitterrand ha avuto i suoi momenti di orgoglio, di fronte alla massima tragedia europea dopo la seconda guerra mondiale. Tre anni fa, a Lisbona, al termine di un vertice comunitario, Mitterrand sorprese tutti partendo per la Sarajevo assediata, per portarvi, non senza coraggio personale,, la testimoniajiza """di:una soMarietà^tèviròpeàV. D'altro canto, agli esordi dello sfacelo jugoslavo, Parigi aveva tentennato come ogni altra capitale della Cee, a parte Bonn, che aveva scelto, non senza una qualche miopia, di schierarsi subito per l'indipendenza di Slovenia e Croazia. Semmai la Francia, per un tic parallelo della memoria storica, legata alle coalizioni della prima guerra mondiale, aveva optato per una certa qual benevolenza verso la Serbia. Alla fine, il viaggio coraggioso di Mitterrand risultò un «beau geste» o poco più. Ora è, o sembra essere, diverso. Di fronte all'evidenza, non più contestabile, dell'aggressione serba, di fronte allo «spettacolo» televisivo di caschi blu francesi attaccati e fatti prigionieri dai cetnici, di fronte alle immagini dei soldati dell'Orni usati come scudi umani, Chirac e Juppé hanno impostato la questione bo] sniaca su due binari concreti: 1 la mediazione diplomatica re¬ sta irrinunciabile, ma va verificata; i Caschi blu vanno rafforzati, eventualmente nel numero, ma soprattutto nel «mandato», che non può più essere quello di testimoni impotenti o vittime sacrificali, bensì di una forza d'interposizione capace di difendersi e all'occorrenza di punire gli attaccanti. In assenza di queste due condizioni, meglio il ritiro, per poi valutare e agire sulla nuova situazione. Non è la soluzione, figurarsi. Quante variabili. L'ambiguo rapporto Russia-Serbia e Russia-Occidente. Il raccordo con la Casa Bianca di Clinton, che deve fare i conti con un Congresso a dir poco contraddittorio, tra neo-isolazionismo e «pax americana». Lo stesso Juppé prende le distanze, forse solo tattiche, e apparentemente tecniche, dai recenti raids della Nato. Ma la Francia, che nonostante tutto si era più esposta di ogni altro, con i supj uomini in ter-.. ra di Bosnia, e che oggi subisce più di ogni altro i contraccolpi della violenza serba, si pone come possibile leader di un'iniziativa europea, di fronte a una tragedia non più sostenibile, e quindi mettendo i maggiori partner (Germania, Gran Bretagna, Italia, oltre che Russia e Usa, naturalmente) nella condizione di doversi assumere precise responsabilità. Vedremo. C'è un'occasione assai prossima, la conferenza di Messina del 2 giugno, che deve celebrare i quarant'anni di quell'altra famosa riunione nella città dello Stretto, da cui presero origine i Trattati di Roma e la Comunità economica, ma deve anche impostare la revisione di alcune regole, essenzialmente politiche, di quella che è oggi, dopo Maastricht, l'Unione europea. Sui bilanci e sui programmi la Bosnia pesa come un macigno. Aldo Rizzo EZO