Nel parterre avanza il Professore

Nel parterre avanza il Professore Nel parterre avanza il Professore SOLTANTO un anno dopo, come dice la canzone di Aznavour, chi abbia voglia di leggere gli umori profondi del solito Auditorium e non soltanto l'anemia di applausi al primo imprenditore assurto oggi al ruolo di ex presidente del Consiglio, avrà di, certo delle sorprese. E' attendibile il teorema secondo cui il vertice confindustriale - Abete in testa, ma assai ben' spalleggiato è antiberlusconiano, mentre i petti della base degli imprenditori battono forte per il capo di Forza Italia? L'impressione, onestamente, non è questa, è come se l'entusiastico «abbraccio» di un anno fa degli industriali a Berlusconi, come lo definì la retorica giornalistica, avesse lasciato spazio a una sospensione di giudizio, a un'attesa prudente e anche un po' scettica. Assistiamo con un imprenditore acculturato, che di queste assemblee ne ha viste forse una trentina, alla casuale stretta di mano tra Berlusconi e Frodi, ascoltando i commenti degli astanti: «Teso», «Incazzato», «Livido», dicono del Cavatierer«Timido», «Balanzone», «Semplice», commentano sul Professore. «Sa - fa il nostro vicino acculturato - gli uomini mutano sentimenti e comportamenti con la stessa rapidità con cui si modificano i loro mteressi». L'osservazione è rivolta al parterre imprenditoriale, che non ci mette poi molto a cambiare opinione ma non ci rivela subito che sta citando una frase di Arthur Schopenhauer. Soltanto un anno dopo, Silvio Berlusconi, mentre Abete parla, legge ostentatamente il testo del discorso, in prima fila, un po' decentrato verso sinistra rispetto al palco. Ha vicini Monti, Tronchetti Provera, De Benedetti, Fazio, Lombardi, Fantozzi... Chissà le angustie del cerimoniale: Romano Prodi è in seconda fila, ma più centrale, dietro a Dini e alle altre massime autorità. Una cosa è certa, il Cavaliere non è più la star. Come potrebbe - in base a criteri subliminali che lui meglio di ogni altro maneggia - se sul palco si alternano Abete e Dini e lui è costretto lì, nella sua poltroncina, silenzioso? Abete non infierisce, anzi. Chi s'aspettava l'arringa difensiva contro le accuse dell'altro giorno («La Confìndustria non muove un dito per difendere il secondo gruppo del Paese») rimane deluso. Abete sorvola, sorridente, e in platea gli industriali si scambiano sguardi: «Aspirina», fa uno, «la cura migliore è l'aspirina, per abbassare la febbre». Chissà se nella categoria della «Rendita Ontologica», cioè la tutela accordata quasi automaticamente a ciò che esiste, nella convinzione che ciò che esiste abbia diritto a una speciale pro- tezione per il solo fatto di esistere, il presidente comprende anche il duopolio televisivo? Non lo dice e non lo dirà, come non dirà, alla fine, chi sono gli autori di quelle «battute» (capite, l'ex presidente del Consiglio autore di battute) che non riusciranno a minare l'unità interna dell'organizzazione. Ma i silenzi - altro che le parole - sono come pietre. Abete non spende neanche una virgola sui referendum e, tantomeno, pronuncia la parola «no», anelata dalla Fininvest per i referendum, in una relazione tutta ritmata da affermazioni, piuttosto che da negazioni. Fedele Confalonieri, normalmente ridanciano, in platea sembra una sfinge: tutte le sue fatiche nelle riunioni di direttivo che cosa hanno prodotto, alla fine, se anche l'assemblea più ideologicamente omologa che esista in Italia snobba così le ragioni aziendali, mentre centinaia di deputati forzitalisti, cristianodemocratici e ex missini si mobilitano, invece, come un sol uomo, quasi il loro oggetto sociale fosse la difesa di sconfinate praterie aziendali? Sobbalza, al nostro fianco, l'uo¬ mo che cita a memoria Schopenhauer, quando il presidente, oggi allergico alle citazioni, nonostante le fatiche dell'Ufficio Studi, evoca unica eccezione - Maffeo Pantaloni: «E' la concorrenza, diceva Pantaloni alla fine del secolo scorso, la forma più universale e polimorfa di inventività, la sorgente più energica di dinamismo sociale». E chi lo negherebbe, in un mondo ormai tutto liberale, a parole, ma che oggi, in questo auditorium, sembra contrapporre due specie di capitalismi tra gli stessi detentori del capitale? Uno tutto forza, rendita e privilegio; l'altro tutto regole e valore aggiunto. Verrà o non verrà Berlusconi? si chiedevano stamane i primi convenuti alle procedure previste per i delegati con diritto di voto, rimbalzandosi le frasi più aspre del Cavaliere suU'agnosticità confindu- striale in materia di referendum televisivi. Quando è comparso e, ordinatamente, ha preso posto, s'è capito che la corrida - nóblesse oblige - non sarebbe stata sanguinosa. Tanto che i colpi di fioretto più dolorosi non son venuti da Abete, ma dal presidente del Consiglio in persona che - scambiato quel palco per il banco del governo in Parlamento - ha stilato, in puro stile Banca d'Italia, un ulteriore programma di governo quasi di legislatura, pur avvertendo ogni tre frasi che la sua vita politica sarà breve. E Berlusconi stringeva, di tanto in tanto, la fessura degli occhi - chissà se trascinato da quel sentimento, l'invidia, che Giuliano Ferrara, suo interprete e ideologo, pone come motore di quasi tutte le azioni politiche - pronto a esplodere all'uscita, in una selva di telecamere: «Volontà di distruggerci», «Tritolo sotto i tralicci», «Indegni preconcetti». Mentre diceva queste cose, schiacciato sullo sportello della sua Thema da un nugolo di cronisti-ragazzini, come li ha chiamati una volta Giuliano Amato, echeggiando un'intemerata di Cossiga sui giudici, Prodi, quasi inosservato, sfilava via a piedi, braccio a braccio col fido Sircana, sorridendo, silenzioso, alle più graziose croniste-ragazzine, mandate avanti per sciogliere la burbanza sorridente di Balanzone. Come se pensasse: «Quanti soldi risparmiati, la campagna me la fa lui con i suoi toni, perfino qui a casa sua». Non ci chiedete, per favore, morali politiche, se non quella che nasce dall'interpretazione del sorriso nel volto pallidissimo di Abete alla fine di tutto: la politica delle Tre A era forse rischiosa, soprattutto con un imprenditore presidente del Consiglio, ma, un anno dopo, il «Gratta e Vinci» ha pagato: Autonomi, Apartitici, Agovernativi. Così si scoprono gli imprenditori. Alberto Staterà Non una battuta sui referendum Confalonieri è come una sfìnge L'impresa si scopre agovernativa e autonoma

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