Corso dribbling e goal tra Moro e il giovane Prodi di Edmondo Berselli

i l caso. La politica spiando il calcio: un libro sul «sinistro di Dio» i l caso. La politica spiando il calcio: un libro sul «sinistro di Dio» Corso, dribbling e goal tra Moro e il giovane Prodi 1 ARIO Corso non era altissimo, appena un metro e settanta circa. Aveva le spalle spioventi e una pancia inconsuetamente dilatata per un calciatore. Oltretutto, aveva un solo piede a disposizione: il sinistro. L'altro, il destro, serviva semplicemente per renderlo un aristotelico animale bipede, degno di calcare i campi di calcio. Ma coi suoi «guizzi serpigni», con le sue repentine invenzioni, Corso sapeva trasformarsi nel terrore di ogni difesa. Perché lui era «il piede sinistro di Dio». Parte dal numero undici nerazzurro Il più mancino dei tiri, di Edmondo Berselli, in uscita dal Mulino (sarà in libreria il 2 giugno). Un gustosissimo volumetto che oscilla tra l'operetta morale e il saggio sulla memoria, il romanzo di conversazione e il catalogo di un'epoca, la cronaca sportiva e la riflessione su un trentennio di Prima Repubblica. L'autore, di professione politologo, vicedirettore della rivista TI Mulino, si è concesso all'apparenza una piacevole «irragionevole» vacanza dai suoi studi e dai suoi saggi. Ma forse, in realtà, non è proprio così. «Fin dalla prima pagina», come titola il primo capitolo, Il più mancino dei tiri è una centrifuga di cultura, di «anarchia epistemologica»; un inno alla gioiosa volontà di potenza della memoria. Per leggerlo, bisogna tirarsi giù i calzettoni alla maniera dell'interista e cominciare a correre. Seguire Corso che si è impadronito della «baia» sulla trequarti e vola per 17 capitoli verso l'area avversaria. Fugge per settanta metri, tra dribbling e tunnel, per giungere al telos (direbbero gli antichi greci traducendo l'inglese goal), e in quella sgaloppata c'è la nostra storia italiana, con le sue scempiaggini e le sue altisonanze. Ti trovi a fare i conti con Schumpeter e col Grande Blek, con Mina e Proust, con terzini veri e apocrifi commenti di Gianni Rivera, con gli ungheresi della Honved e le alchimie di Andreotti. Siamo negli Anni 60, quando il quasi sconosciuto Gimondi della Salvarani si conquista la maglia gialla al Tour de France. Quando il giovane Romano Prodi «si dedica sbuffando e senza troppi risultati» a uno dei primi saggi. Moro fabbrica ossimori con le sue «convergenze parallele»; Leone si fa compatire cantando «funiculì, funiculà» e mostra le corna agli studenti contestatori; Ugo La Malfa tuona anatemi contro la tivù a colori, non vuole che sia introdotta in Italia, altrimenti il popolo si lascerà «incantare dalle sirene del consumismo». La de talvolta minaccia l'insaziabile psi di rivòlgersi a qualche altro «forno»«jssd.ìÈ intanto, tra mille arabeschi, il Paese gode di un'eccezionale stabilità. L'opposizione promette agli italiani la cuccagna; la maggio¬ ranza gliela elargisce. Gino Stacchini, ala sinistra della Juve, scattante ma un po' evanescente, flirta con Raffaella Carrà. L'Espresso fa storia con titoli del tono: «Capitale corrotta nazione infetta»; il Guerin Sportivo gli risponde per le rime: «Orrenda puttanata di Cudicini». Seguendo Corso nella sua galoppata, ti metti a dribblare con Keynes e De Gaulle, con Kraus e Gadda. I riferimenti storici e bibliografici oscillano volutamente sul vago. Anche Stendhal, per non apparire pedante, alterava di proposito la grafia di alcuni nomi e confondeva le date. IIpiù mancino dei tiri, nato dal divertimèhto'di uno studioso, non risparmia i tackle e le entrate a gamba tesa sul grigiore degli accademici, con i loro livori e le loro sterili faide epistemologiche. Scherza sulle «idee forti» che devono avere i libri, sul marcamento stretto degli editor, sulle quarte di copertina, sulle pigrizie degli intellettuali. Il vero grande intellettuale gioca con la propria memoria come un poeta. Un esempio? Braudel scrisse il suo saggio migliore, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, chiuso nella capanna di un campo di prigionia, senza appunti, senza poter consultare libri né note. Come un portiere di fronte al calcio di rigore. E intanto il «bailador» Corso entra nell'area dell'ultimo capitolo, in compagnia di Heidegger. Liquida i caparbi difensori che gli si'iavventano contro. E' in prossimità della porta, ma ha un angolo di tiro drammaticamente stretto. Potrebbe, anzi dovrebbe secondo i furibondi insegnamen¬ ti del mago Herrera, crossare a qualcun altro. Ma lui non fa sconti alla forza del proprio destino individuale e individualistico. Fa tutto da solo. Calcia da posizione impossibile e segna, rotolando sui cartelloni pubblicitari. Aveva novantanove probabilità su cento di sbagliare. Invece ce l'ha fatta, in questa immaginaria partita giocata con Berselli. Alla fine di questa rutilante lettura vi prende il dubbio di aver avuto a che fare con esercizi minimalistici? Sbagliato. Ammonisce Berselli: «Sto componendo un trattato di savoir vivre sotto mentite spoglie»; «il calcio è un'allegoria della vita». E' quasi un iperuranio platonico delle organizzazioni. Ecco l'esempio. Capita che tutto sia stato previsto alla perfezione, fin nei minimi ingranaggi. Ma poi, all'improvviso, qualcosa si inceppa contro ogni logica, e il sistema crolla. Oppure, al contrario, una rotella dell'ingranaggio si mette a fare di testa sua e ottiene un successo imprevisto. Capita che Sivori, dopo una nottata di bagordi, inventi quattro gol. Capita che Corso, uno alto un metro e settanta circa, segni una rete frutto della bravura e non della forza programmata. Se avete per le mani un Verona, potete vincere lo scudetto o finire in serie B. La stessa cosa, più o meno, funziona col debito pubblico italiano. U più mancino dei tiri parla di calcio ma anche di politologia. E' un libro contro «la zona» a favore «dell'uomo». Più per Bearzot che per Sacchi. E' un elogio scherzoso dell'improvvisazione contro il gesso dei sistemi razionalizzati. Perché «Come la fede nell'ideologia, così l'idolatria per l'organizzazione è destinata a scontrarsi con gli innumerevoli anarchismi della vita». Chissà se dopo aver letto questo volumetto verrà la tentazione di pensare Òhe anche Scopigno, 1'«epicureo» delle panchine, potrebbe giocare nel derby dell'antitrust? Bruno Ventavoli L'autore: «Un trattato di savoir vivre sotto mentite spoglie» Il genio imprevedibile contro tutti gli schemi: e non solo allo stadio Da Schumpeter al Grande Blek, da Mina al «mago» Helenio Herrera il politologo Berselli racconta gli Anni 60 Mario Corso, «il sinistro di Dio». Sopra, Edmondo Berselli. A destra, Helenio Herrera

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