E il 24 maggio non fu il Piave a mormorare

E il 24 maggio non fa il Piave a mormorare Ottant'anni fa l'Italia entrava in guerra contro l'Austria: una tragedia tra retorica e atti di eroismo E il 24 maggio non fa il Piave a mormorare Quel giorno ci fu la nostra prima cannonata, ma la propaganda fascista falsò la storia 7v~jUAND0 eravamo balilla I ! alla vigilia del 24 maggio I I ci facevano sfilare davanti I I alla bandiera per il saluto, Y I méntre la 5a A schierata V sull'attenti cantava la Leggenda del Piave: «Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio / dei primi fanti il 24 maggio. / L'esercito marciava per raggiunger la frontiera / per fare contro il nemico una barriera/...». L'autore di questa canzone, che ogni ragazzo aveva scritta nel quaderno, era E. A. Mario; sì, proprio quello che avrebbe, composto Vipera, Santa Lucia luntana e altre famosissime canzoni degli Anni Venti. Ma noi non lo sapevamo, e non conoscevamo nemmeno le canzoni proibite come Gorizia tu sia maledetta o II canto del disertore. Per la strada - non in scuola! - cantavamo una canzone degli alpini dove si diceva che la figlia del re aveva le gambe storte. Ma chi non conosceva la canzone del Piave, con la sua storia del 24 maggio, di Caporetto e del fiume che mormorò non passa lo straniero? Questa storica canzone fu però composta verso la fine del conflitto e in essa, scrive Mario Isnenghi, si può riconoscere uno dei maggiori fattori del mito postumo della Grande guerra. Si im- pose nelle celebrazioni e nei riti commemorativi quasi come una Marsigliese. Quando eravamo balilla. Dal giorno in cui l'Italia entrò in guerra contro l'Austria sono passati ottant'anni; i grandi protagonisti sono tutti scomparsi, sono stati aperti gli archivi e ora possiamo guardare a quegli eventi con occhi sereni e il cervello libero da preconcetti anche perché in questi ultimi anni una nuova generazione di storici ha frugato, scoperto, esaminato, commentato e pubblicato quanto era possibile trovare anche nei diari degli umili e tutto con grandi risultati. Certo, prima, con tanti personaggi viventi era difficile perché più d'une aveva interesse a nascondere la verità; e poi con il fascismo e il nazionalismo imperanti la Grande guerra era esaltata fino all'esasperazione: Mussolini era un ex combattente, Vittorio Emanuele il re soldato, i fanti eroi; dagli arditi erano nate le squadre d'azione dei fascisti. Così, semplicemente, ci spiegavano a scuola i nostri insegnanti. Mai nessuno di costoro ci diceva di «intervistare» i nostri padri che erano stati al fronte, di chiedere alle nostre madri come erano vissute da profughe. Nemmeno di portare un fiore sulle tombe dei soldati nei tanti cimiteri sparsi tra i nostri boschi e le nostre montagne. Invece l'altro giorno tre ragazzine di quarta elementare andavano alla ricerca di persone da intervistare sulla Grande guerra. Mi azzardai di scrivere sul loro quaderno una nota per la mae- Soldati al fro stra: «Cara signorina, la Grande guerra iniziò il 1° agosto 1914, noi entrammo il 24 maggio del '15; faccia un po' il conto: le persone che dovrebbero avere personale memoria hanno passato almeno i novantanni». Rileggiamoci, allora, un po' di storia. Il nostro esercito, in quell'ormai lontano 1914, «... non era mai stato preparato per partecipare a una grande guerra europea; aveva un organismo moderatamente modesto e combinato in modo da non permettere il passaggio ad una maggiore etezza se non attraverso grandi sforzi. Il piccolo esercito permanente e il mediocre materiale da noi posseduto si erano grandemente logorati durante la guerra di Libia...». Così scrive Aldo Valori in La guerra italo-austriaca. L'Italia si era preparata ad entrare in guerra con dei concetti quanto meno curiosi, ignorando msm comPle l'esperienza fatta dai belligeranti in un anno di lotta sui fronti dell'Est e dell'Ovest. Inoltre ai pochi interventisti volontari si accompagnava una massa inerte e passiva; ai pochi generali competenti si assommavano i troppi inetti carrieristi o gli spavaldi che consideravano la guerra di trincea alla stregua delle battaglie napoleoniche o del Risorgimento. Insomma l'esercito di ottocentomila uomini che potevamo 801116131% dallo Stelvio all'Adriatico non era certo quello che propaganda, stampa e Stato Maggiore volevano far credere. In breve tempo Cadorna, con criteri molto personali, cercò di sopperire a queste manchevolezze con ferrea disciplina e istruzione formale; cercò anche di rimediare alla mancanza dei materiali che nei magazzini erano previsti ma non c'erano: armi, munizioni, rifornimenti. Dicono le regole di guerra che l'efficacia materiale di un esercito è data dal numero e dall'armamento, ma che questo serve poco se non ci sono buoni comandanti e convinzione della giusta causa nei combattenti. Noi eravamo ricchi di parole, di grandi operazioni... sulla carta, di piccole iniziative personali. Il generale Gatti, diarista dello Stato Maggiore, ebbe a scrivere: «Purtroppo c'era, e insanabile, nell'esercito italiano allo scoppio della guerra, la sproporzione tra lo scopo e i mezzi». Il 24 maggio del '15 il Piave mormorava al passaggio dei fanti, ma questi, nella realtà, erano passati qualche mese prima e le brigate che avevano i nomi di città e regioni d'Italia erano «alla fronte con il nemico». Quella mattina, alle ore 4, il primo colpo di cannone partito dal Forte Verena contro quello austriaco del Verle segnava l'entrata dell'Italia nella Grande guerra. Il primo italiano caduto sul fronte trentino fu un siciliano: Salvatore Randazzo. Fu raccolto dal «nemico» e sepolto con l'onore delle armi nei pressi di Vezzena. Da allora tanto giovane sangue è stato versato sui campi di battaglia prima di giungere all'idea di un'Europa senza confini. Mario Rigoni Stern msm Soldati al fronte durante la prima guerra mondiale

Persone citate: A. Mario, Aldo Valori, Cadorna, Gatti, Mario Isnenghi, Mario Rigoni Stern, Mussolini, Salvatore Randazzo, Soldati