Wilson vincitore e vinto d'Inghilterra di Fabio Galvano

Il leader laborista che governò due volte il Paese è morto di cancro a 79 anni Il leader laborista che governò due volte il Paese è morto di cancro a 79 anni Wilson, vincitore e vinto d'Inghilterra LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La pipa fra i denti piuttosto che l'opulento Avana di Churchill, l'impermeabile liso, gusti gastronomici che si rifacevano al profondo del suo Yorkshire più che alla Londra del potere, vacanze tutt'altro che esotiche con la moglie Mary in un bungalow battuto dal vento delle isole Scilly. Di Harold Wilson, ex primo ministro laborista fra il 1964 e il 1970 e poi ancora dal 1974 al 1976, morto ieri a 79 anni in un ospedale di Londra dopo una battaglia con il cancro che durava da tre lustri, gli inglesi ricordano oggi i tratti di quel populismo facile che parve mettere Downing Street alla portata del comune cittadino; e non, nel coro di elogi funebri, il dramma dell'uomo costretto a firmare gli anni del declino britannico - economico, politico e sociale - che il Labour avrebbe poi pagato caro per mano di Maggie Thatcher. «Uno degli uomini più brillanti della sua generazione», lo ha defi¬ nito il primo ministro Major in un commosso discorso ai Comuni: «Un uomo complesso, intelligente, sensibile, che non indossò mai la corazza da armadillo dei politici». «Cercò di diventare il migliore, e ci riuscì», ha fatto eco Tony Blair, l'erede di tutte le speranze laboriste: «Fu per la politica britannica quello che i Beatles erano per la musica». Persino Edward Heath, l'eterno rivale che gli rifilò nel 1970 la sua unica sconfitta elettorale, ha ricordato ieri l'avversario che «non esitò mai ad affrontare i problemi». E dietro la facile retorica del lutto nazionale sfumano i problemi economici, il declino della potenza imperiale, la lotta - ripresa poi con letale vigore dalla Thatcher - per riformare i sindacati e limitarne il potere. Non è forse esagerato dire, come si è fatto ieri, che con Wilson sia morta l'Inghilterra dei Beatles e di Carnaby Street. Egli fu infatti il primo dei politici inglesi a identificarsi con le nuove generazioni, anzi a sfruttare le immagini della nuova Inghilterra per svecchiare i corridoi del potere, il primo a usare i media e soprattutto la televisione per entrare nelle case degli elettori. Sceso dal piedestallo della politica, si presentò come l'uomo del popolo per il popolo. Oggi si dice che fu la turbolenza dei tempi a tarpare le sue ali politiche, a fare di lui il notaio di ima resa britannica alla realtà del mondo. Più che statista di punta, Wilson era l'uomo delle strategie di partito. Gli riuscirono così imprese come quella di diventare, a 48 anni, il primo ministro più giovane di questo secolo; di avere affrontato cinque campagne elettorali perdendone una sola (quella del 1970) e vincendo le rimanenti (1964, 1966, due volte nel .1974) mentre la stessa Thatcher è riuscita tre sole volte; di avere dato al Labour undici dei suoi 20 anni di potere in questo secolo; di avere interrotto nel 1964 tredici anni di dominio Tory; di avere introdotto in un Paese così classista concetti di egualitarismo incapsulati in quello che resta il suo monumento, la Open University, l'u¬ niversità per corrispondenza. Quello che Wilson certamente non riuscì a concludere, dopo avere ereditato nel 1963 da Hugh Gaitskell un partito spaccato sulle politiche di fondo, fu l'amalgama fra moderati e sinistra che è invece riuscita (a spese di quest'ultima) a Kinnock, a Smith, ora a Blair. E la lunga malattia, che lo aveva politicamente cancellato già da molti anni, gli aveva risparmiato le scosse dopo una carriera politica non senza macchie. L'Inghilterra non gli ha mai perdonato la svalutazione della sterlina del 1967 e la penosa difesa («La sterlina che avete in tasca non cambia») di quella débàcle. Ma quello non fu che uno dei molti punti oscuri. C'era stata la storia - smentita dopo un'inchiesta della Thatcher - dì una campagna volta a screditarlo e orchestrata dall'MI5, i servizi segreti inglesi. E quella, parallela, di un complotto che nel 1968 avrebbe coinvolto Lord Mountbatten. C'erano state le accuse - soprattutto in anni recenti, nel libro dell'ex agente Peter Wright che il governo cercò invano di bloccare - di un Wilson spia dei sovietici; e per questo costretto, nel 1976, a dimissioni dettate invece da un desiderio di pensione. Ma c'erano state - sicuramente più vere, quindi più dannose - accuse di opportunismo politico, incapsulate nelle onorificenze a uomini d'affari di dubbia reputazione; di un'eccessiva autonomia concessa alla sua segretaria parlamentare Marcia Williams (ora Lady Falkender); di avere varato leggi liberali (razzismo, omosessualità, aborto, divorzio, ma anche l'abolizione della pena capitale) e di non avere invece portato a fondo, nonostante un referendum, la vitale «questione europea». Peggio, di avere - lui uomo del popolo e dei Comuni - scelto di ritirarsi con un titolo - Lord Wilson di Rievaulx - che ha fatto sorridere molti e che ieri, per amore, è stato dimenticato. Fabio Galvano Il nuovo capo del partito, Tony Blair «Per la politica fu come i Beatles» Due immagini di Harold Wilson a sinistra con i Beatles e dopo la sconfìtta elettorale con Margaret Thatcher HMiaHMH.

Luoghi citati: Avana, Inghilterra, Londra