«Credevo di morire su quel jet» di Fabio Galvano
Parla la donna operata al polmone sul volo Hong Kong-Londra Parla la donna operata al polmone sul volo Hong Kong-Londra «Credevo di morire su quel jet» «Per anestetico mi hanno dato un doppio whisky Ho pensato: quelfil di ferro mi trapasserà il cuore» ?,A CHIRURGIA LONDRA dal nostro corrispondente «Tutto quello che mi hanno dato è stato un doppio whisky. Più, naturalmente, una piccola anestesia locale. Ma il dolore era terribile. Tra di me pensavo: me ne sto andando, me ne sto andando. Ma poi ho reagito, mi sono convinta che dovevo tenere duro». La voce che mi parla dall'altro capo del telefono è fresca, solo a tratti s'interrompe e si sente un sospiro più faticoso. La tremenda avventura è ora un bel ricordo per Paula Dixon, la donna scozzese operata d'urgenza sul jet che la portava da Hong Kong a Londra, in un'improvvisata sala operatoria in cui il chirurgo e il suo assistente hanno usato - oltre alla valigetta medica di bordo - strumenti poco ortodossi come un coltello, una forchetta, il cappuccio di una stilografica, una bottiglia vuota di acqua minerale, il filo di ferro recuperato da un attaccapanni. Dall'ospedale di Ashford, dove era stata ricoverata dopo l'atterraggio a Heathrow, è stata trasferita ieri in una clinica privata di Runnymede. La vita le sorride di nuovo. E dal lettino bianco, fra numerosi mazzi di fiori, racconta la sua avventura ai giornalisti che le telefonano da ogni parte del mondo e ai colleghi inglesi di Today, che hanno una costosa esclusiva per l'Inghilterra sulla sua vicenda. Nonostante i mezzi di fortuna, l'intervento di pneumotorace portato a termine dal professor Angus Wallace dell'università di Nottingham e dal dottor Tom Wong dell'ospedale di Stracathro è andato alla perfezione. «Però, quando ho visto quel ferro e il tubicino che gli era attaccato entrarmi nel torace ero terrorizzata», ricorda la Dixon, con un brivido: «Non sapevo che cosa sarebbe successo se per errore mi avessero colpito il cuore». Ora sorride, accanto ha la figlia Kirsty di 18 anni, che lavora con lei in un negozietto di gioielleria e oggetti per regalo ad Aberdeen, in Scozia. E' a lei, ma anche alla figlia Samantha di 20 anni e al figlio Curtis di 12, che Paula Dixon («Signorina, non signora», mi corregge) pensava durante quei momenti ali mila metri di quota. «Se muoio, dicevo alla mia amica Barbara Murray che viaggiava con me, dì ai ragazzi quanto gli voglio bene. Lei cercava di rassicurarmi, ma non mi ha mai I, detto esplicitamente che non sarei morta. Ero pallida, gli occhi stravolti, sudavo copiosamente. Scommetto che anche la mia amica mi considerava già morta». Ma non doveva essere. L'attaccapanni disinfettato con il cognac stava facendo il suo lavoro alla perfezione. «E' stata una battaglia continua. Mi concentravo per farmi forza, per mettermi in condizione di sopravvivere. Ho fatto anche un po' di meditazione, spronandomi a migliorare, a controllare la respirazione e tutto il resto. Ero perfettamente cosciente mentre mi schiacciavano il torace. Gridavo e mi lamentavo. Ma che altro potevo fare con due uomini che premevano con tanta forza? Il professore, comunque, è stato magnifico: mi diceva di continuo che cosa stesse facendo». E ora come si sente? «Come un gatto dalle sette vite». Ricor¬ da altri due incidenti, in passato, che avrebbero potuto ucciderla: «Ho usato tre di quelle vite, e con le quattro che restano intendo divertirmi». Ma per il momento non può tornare ad Aberdeen. I medici, che l'hanno risistemata con attrezzi più ortodossi dopo il suo ricovero, le hanno detto di non muoversi per qualche giorno. E poi le sue giornate londinesi sono proficue. Le interviste, in questo Paese, si pagano. Anche quelle non esclusive. «Quanto è disposto a darmi?», domanda d'improvviso. Arrivederci, Miss Dixon: sta già fin troppo bene. Fabio Galvano Un decollo dall'aeroporto di Hong Kong e Paula Dixon, operata in volo
Persone citate: Angus Wallace, Dixon, Miss Dixon, Paula Dixon, Tom Wong
Luoghi citati: Aberdeen, Hong Kong, Inghilterra, Londra, Scozia
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