E ora slittano anche le elezioni

E ora slittami anche te elezioni E ora slittami anche te elezioni Segni: abbiamo chiesto a Dini di restare fino al '96 L'INTESA E' \m ROMA quasi paradossale, ma quel richiamo nostalgico al pei dei tempi della solidarietà nazionale dell'allora capo della segreteria di Benigno Zaccagnini e ora deputato di Forza Italia, Giuseppe Pisanu, spiega più di quel che si pensi il mancato accordo tra Berlusconi, Fini, D'Alema. per^evitare i referendum. «Bei tempi - si sfoga l'ex de diventato! consigliere dii Berlusconi - quelli del vero pei. Io me li ricordo quegli anni: ci riunivamo nella stanza di Franco Evangelisti io, lui, il povero Ferdinando Di Giulio, capogruppo dei deputati pei. Ogni tanto veniva pure Macaluso. Ci si parlava e spuntava subito l'accordo. Se, poi, c'era qualche intoppo intervenivano Moro e Berlinguer. Naturalmente veniva privilegiato l'accordo politico, rispetto a quello tecnico. Oggi, invece, parli con Bassanini e si discute solo di commi. Magari ti chiede: "Perché Dotti fino alle 10 era d'accordo eppoi ha cambiato idea?". Tu gli rispondi, "Guarda questa mi pare una stronzata", e lui non ci crede. Vi pare che nel pei di una volta avrebbe potuto parlare la Bonsanti? Per non dire di Bassanini, quello l'avrebbero preso a calci nel culo». Forse è stato proprio questo l'errore che hanno fatto i due contraenti, D'Alema e Fini, e mezzo (Berlusconi se ne è sempre rimasto zitto) dell'accordo della settimana scorsa, il famoso Lodo Guarino, quello che doveva evitare i referendum. Hanno pensato che in Italia ci fosse un bipolarismo perfetto: due schieramenti e due capi. Invece, no. I due schieramenti sono già in ebollizione e pensano al «dopo»: D'Alema non è mai stato egemone sui suoi alleati e Berlusconi, se perderà i referendum, non comanderà più i suoi. Ecco perché un accordo tra i due schieramenti non era possibile: il centro-sinistra (almeno nell'accezione con dentro la Lega) non è mai esistito; e il centro-destra forse dopo l'I 1 giugno diventerà un'altra cosa. Forse i poli da due diventeranno tre. E probabilmente la battaglia di questi giorni è stata la prima vittoria del Centro. «Hanno vinto - ammette, infatti, Gianfranco Fini - gli estremisti di centro: Bossi, Andreatta, Segni». Quella che nei giorni scorsi era solo una sensazione, infatti, da ieri è diventata una realtà. E ci si accorge che ieri sono state poste le premesse per far saltare lo schema di questi mesi, sempreché i vari D'Alema, Fini, Berlusconi non corrano ai ripari. La cartina di tornasole di tutto questo movimento è la contesa sulla data delle elezioni, vera posta in gioco dello scontro sulle trattative dei referendum Tv: bene, da ieri è molto probabile che le elezioni ad ottobre non si faranno più. Per capirlo bastava assistere alla riunione tra il presidente del Consiglio, Lamberto Dini, e i capigruppo dell'attuale maggioranza. Il capo del governo ha tracciato un programma di in¬ tenti che come minimo arriva alla primavera del prossimo anno. E i suoi interlocutori, invece, di contraddirlo, lo hanno incoraggiato. Andreatta addirittura è uscito entusiasta dalla riunione. «Dini oggi ci ha detto - confida Mario Segni, altro assertore del non voto - che le pensioni non saranno approvate prima di luglio; poi bisognerà fare anche la finanziaria. E noi gli abbiamo chiesto di porre le premesse economiche perché l'Italia possa presentarsi alla presidenza della Cee in tight. E Dini è stato d'accordo. E per far queste cose bisogna arrivare al '96». Già Dini, Bossi, Segni, Andreatta e, probadbilmente sull'altro versante, più coperti per ovvie ragioni, Buttiglione, Mastella, parte di Forza Italia. E' questa la realtà che si è mossa in questi giorni. Sotto, probabilmente, l'egida di Scalfaro. Non per nulla ieri nell'anniversario della sua elezione al Quirinale il Capo dello Stato ha ricevuto sulle agenzie di stampa gli auguri del popolare di sinistra, Andreatta, della leghista, Pivetti, e del «Popolo» di Buttiglione. Non c'erano, invece, quelli degli altri. Perché? A ben vedere né lui, né Dini si sono sforzati più di tanto per trovare un'intesa sui referendum. E forse la loro assenza di «verve» deve aver lasciato l'amaro in bocca a qualcuno, magari a quel D'Alema che ha fatto di tutto per evitare il voto dell'11 giugno. E arriviamo al punto. Perché lo svolgimento dei referendum potrebbe far slittare le elezioni? Perché potrebbe dare un impulso alla creazione del Centro? Una risposta a queste domande la dà Carlo Rognoni, il vicepresidente del Senato pidiessino. «Noi del pds - spiega - abbiamo solo da perdere da questi referendum. Se Berlusconi vince, infatti, avrà un trampolino per le politiche... Se perde, lui è morto ma Forza Italia non avrà più interesse per le urne in autunno. D'Alema inoltre è convinto che con Berlusconi fuori scena il centro-destra o si darà una nuova leadership, o cambierà fisionomia, creando in ogni caso delle crepe nell'attuale schieramento di centro-sinistra». Eh sì, siamo a questo punto: il vertice del pds, ennesimo paradosso, non sa se augurarsi ima vittoria o una sconfitta di Berlusconi. Perché? Rognoni il motivo non arriva a dirlo, ma è facilmente intuibile. In realtà l'unico collante dell'attuale schieramento di centro-sinistra è l'antiberlusconismo, finito il Cavaliere tutto ritornerà in discussione: le alleanze che compongono lo schieramento e, probabilmente, la stessa candidatura di Prodi. In effetti, se non ci fosse più Berlusconi, perché mai Segni, Bossi e forse lo stesso Andreatta dovrebbero allearsi con D'Alema? Sono gli stessi interessati che lo "dicono. Bossi si è sempre comportato come se non esistesse uno schieramento di centrosinistra e uno di centro-destra: lo ha fatto nella trattativa sui referendum e sta ripetendo la stessa cosa nell'elezione in Parlamento dei due nuovi giudici costituzionali. Il leader leghista non vuole dare il suo assenso ad una spartizione tra i due schieramenti. Vuole che l'elezione dei due giudici, sulla base di un accordo generale, slitti ad ottobre, quando sarà disponibile un altro posto che reclama per la Lega. Se Bossi parla con i fatti, gli altri lo teorizzano a parole. «Noi - confessa Boselli, altro esponente dei democratici di Segni - ne discutiamo da 10 giorni. Se Berlusconi perde i referendum, potrebbe mollare la politica. A quel punto, senza il Cavaliere nero, le geografie del polo moderato e dì quello progressista sono desti- 0 nate a cambiare. E, mi dispiace, rischia di saltare anche la candidatura Prodi. Il rinvio delle elezioni significa questo. Ed è la cosa che ha mandato in fibrillazione il pds». «Quello che emerge da questa vicenda - osserva il leghista Marano - è che si è sciolto il centro-sinistra. Ormai c'è un centro-sinistra e un centro. Se, poi, Berlusconi perde i referendum tutti gli schieramenti si rimescolano. Io, oggi, ho salutato così Raffaele Della Valle di Forza Italia: "Guarda che tra un po' torniamo insieme"». Quindi, da una parte Bossi, Gerardo Bianco, Segni e, seminascosti, Buttiglione e Mastella, tentano di modificare l'attuale geografia politica. Dall'altra, su versanti diversi, D'Alema e Fini la difendono. In mezzo c'è Berlusconi che ha affidato le sue sorti politiche ai referendum. Che succederà? Questo contrasto sotterraneo potrebbe già avere delle conseguenze nell'esame del provvedimento sulle pensioni. Per dimostrare che l'attuale quadro politico è inadatto, infatti, chi vuole andare al voto potrebbe bocciare il provvedimento. «Io - osserva il pidiessino Petruccioli - credo che ci saranno problemi». «Se, invece - replica sull'altro fronte D'Onofrio -, l'approvazione delle pensioni entrasse a far parte dell'accordo per andare alle urne, potrebbero essere quelli che non vogliono votare a silurare il provvedimento». Insomma, quello che è successo ieri riapre molti giochi. «Chi vuole rinviare le elezioni canta vittoria - sentenzia Pinuccio Tatarella -, chi non le vuole cerca di trasformare una sconfìtta in un successo. Potrebbe dire: ma se neanche D'Alema, Dini, la crisi della lira, il marco sono riusciti a far trovare un'intesa in questo Parlamento, come si fa ad andare avanti così?». Tante speranze, nessuna certezza. Augusto Minzol ini Rognoni (pds) : noi non abbiamo niente da guadagnare Boselli (Patto) «Se il Cavaliere perde lascia la politica» Pisanu (ForzaItalia): «Ricordo gli accordi dc-pci. Allora i peones comunisti non li facevano parlare» Giuseppe Giulietti (qui accanto) e nella foto grande, da sinistra: Buttigliene, Fini, Casini, Berlusconi

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