MORIN: DECLINO

MORIN: DECLINO MORIN: DECLINO IL FUTURO COMPLESSO contraddittorie della cultura moderna. Fede e dubbio, razionalismo e misticismo. E' il principio del pensiero complesso, quello che è in grado di de-compartimentalizzare esperienza e conoscenza». Dall'astratto al concreto. Chi nel Novecento ha vinto la scommessa di cui lei parla? «Innanzitutto il surrealismo. E' stato un fenomeno letterario, culturale ed esistenziale di estrema importanza. Perché non è stato semplice innovazione in campo poetico, ma ben più profondamente rivendicazione di vivere poeticamente. Ipotizzò che, al limite, la poesia vissuta avrebbe potuto eliminare quella scritta. Il surrealismo fu una reazione profonda, né più, né meno del romanticismo al XIX secolo, contro il mondo prosaico, tecnico, mercantile, in nome dell'intensità della vita. Fu una trasformazione di amore, passione, estasi, comunione. Il riconoscimento della dimensione poetica. Per fare un nome, è certo quello di André Breton. Condivise l'idea di rivoluzione di Trockij, ma seppe non lasciarsi disintegrare dallo stalinismo. Breton (altri no, lui sì) seppe restare sino in fondo fedele al movimento originario. Le opere sono la rivista del movimento, La rivoluzione surrealista, e i Manifesti. E naturalmente Nadja, romanzo senza frontiere». E dopo i surrealisti? «Assimilabile e paragonabile è Freud, ma non lui solo. La psicanalisi tutta, il fenomeno complesso che - partito da Freud - ha preso un'ampiezza che ha decisamente scavalcato la persona e le idee di Freud. Io considero importanti alla stessa stregua figure diverse ma insieme complementari (per costituirli in fenomeno) come Freud, Jung, Ferenczi, Rank. Quello che ritengo significativo in particolare è non l'aspetto medico, curativo, della psicanalisi, bensì quello antropologico. Il pensiero sulla soggettività umana, sul problema della persona che si trova presa in un gioco di pulsioni. L'approfondimento della conoscenza dell'essere umano in rapporto alla vita. Come opere-faro, benché siano molte, prescelgo Thalassa di Ferenczi e gli scritto di Rank sul doppio. Va anche detto però che il movimento in mano ai discepoli di questi grandi si è degradato. Non ne hanno colto in linea di massima la complessità». Quali i maggiori contributi della scienza? «D'importanza fondamentale considero il risultato sul pensiero della rivoluzione in microfisica operata dal danese Niels Bòhr. Uno scienziato che si è confrontato con le difficoltà poste dal problema dell'eredità, che dal punto di vista fisico si dissolve. Il pensiero pacificato e tranquillo, quello che crede nel determinismo, si trova scosso dal problema dell'incertezza. Bòhr è un emblema di questa rivoluzione. «Al contempo, un'altra rivoluzione è partita da un settore piuttosto trascurato della scienza: il settore della cibernetica. E' quello che ha permesso di riflettere sul fenomeno deU'auto-organizzazione, dell'auto-produzione (del mondo da parte di se stesso). In questo campo i pionieri sono stati John von Neuman e Heinz von Foerster». Sono questi i tre mari in cui l'uammiraglio» Morin ha più navigato, gli assi principali dei suoi interessi Documenti in senso più stretto, esiti creativi, frutto in qualche modo delle varie rivoluzioni Il sociologo cita Ortega y Gasset: «Non sappiamo dove andiamo ed è lì che andiamo» Portando con noi Breton e Freud, Bòhr e Celine Strauss e Fritz Long che ha indicato, senza esserne la formulazione programmatica? «Sul piano letterario, benché il punto di vista debba essere universale, indicherei due grandi scrittori agli antipodi l'uno dell'altro, ma che entrambi hanno dato qualcosa che non c'era mai stato prima, entrambi francesi: LouisFerdinand Celine, con il Voyage au bout de la nuit essenzialmente, ma anche con Nord, e Marcel Proust con l'insieme dell'architettura incredibile che è La recherche. «Sul piano della musica sono personalmente molto sensibile a Richard Strauss, ma direi che Alban Berg, con il suo Wozzeck, dà il senso di quel che dicevo prima. Sia il testo di Bùchner che l'opera musicale sono integrazione della dimensione tragica, voglio dire tragedia in cui gli eroi non sono più i grandi, i sovrani, ma la povera gente. La tragedia vi si fa umana. E' una musica ammirevole, che dà quel senso». E' appena uscita qui da noi una nuova edizione del suo libro dedicato alle Star (edizioni Olivares). Lei si definisce più che cinefilo, «cinevoro». In questo campo? «Il cinema, in effetti, è la mia arte perché è un'arte multipla. Ricca. E' vero che le limitazioni economico-industriali sono forti, ma ciò non toglie. Personalmente, resto attaccato ai grandi maestri: Murnau, in particolare, per un'opera incompiuta, Tabù; Fritz Lang, Pabst, Ford e Hawks. E ho una vera passione per l'Andrej Rublev di Tarkowski e per Kurosawa». In pittura? «Può stupire, ma per me è più significativo Braque di Picasso. Sia per l'eredità cubista che ha lasciato, sia come emozione provata conoscendone i quadri». Come approdare al XXI secolo e riprendere il largo...? «Direi che vedo due possibilità. 0 riusciremo a uscire dalla compartimentazione del pensiero incapace di contestualizzazione, o ne saremo vittime e sarà la catastrofe. In altri termini, bisogna vedere se