LUZI, QUESTO SECOLO HA PENSATO IN POESIA

LUZI, QUESTO SECOLO HA PENSATO IN POESIA LUZI, QUESTO SECOLO HA PENSATO IN POESIA Confronto con Sanguineti, Squarotti, Erba e Magrelli c'è qualcosa di omogeneo in questi talenti poetici, anche se hanno caratteri diversi, forse contrastanti, perché Eliot è composito, Sbarbaro tende alla semplicità, anche come fine». E oltre Sbarbaro? «C'è Montale. Anche lui entra in questa correlazione, e ci dice molto bene che cosa è e che cosa sarà la poesia nel seguito del secolo: che cosa è con lui e che cosa sarà dopo di lui. Un altro aspetto di quanto dicevo si ritrova in Rebora e, in modo paradossale, in Campana. Campana ripropone la religione deU'uomo e del mondo, cerca che cosa è l'uomo nell'universo, nella storia, nel tempo. Rivanga sempre. Siamo ben lontani dalla facoltà celebrativa che era di Pascoli, di D'Annunzio; grandi poeti, ma che fondavano il loro lavoro nel riconoscimento di un mondo esistente, un mondo prescelto dalla loro inclinazione». Non ha nominato Ungaretti. «Lo nomino sùbito. Rientra anche lui nella nuova prospettiva. Questi caratteri rimangono come retaggio del Novecento, e sono presenti negli anni iniziali e della prima maturità del secolo». E poi scompaiono? «E poi abbiamo ima generazione di poeti che sembrano immedesimarsi col mondo, ma non sono accecati dal mondo. Riprendono il discorso, non a priori, non teoreticamente; lo riprendono dal vivo dell'esperienza. Sono implicati sì, nel mondo, nella società, nei dibattiti; ma cercano sempre di connettere il mon- «E' un po' difficile separare. Alcuni nostri autori, che sono basilari, sono sempre correlati con altri. Prendiamo per esempio Sbarbaro. E' sottovalutato, quasi considerato fra parentesi, mentre ha trovato nòte sostanziali della vicenda umana qual è stata determinata dalla storia. Si parla di Eliot, ed è un gran nome. Ma non è possibile separarli, lo quella oratoria, enfatica; dico la stessa dimensione celebrativa dell'esistente. La poesia è stata posta di fronte al problema di una realtà da cercare: una realtà che non era data, che non è mai data; da riconoscere, da puntualizzare partendo dall'interno». Parla della poesia italiana o di ll d zione tipica di un'epoca, nella quale l'attività poetica si è dovuta investire - nei suoi momenti più significativi - anche dei problemi della filosofia e dell'ontologia». E rispetto alla poesia precedente? Che cosa ha cambiato la nuova? «E' stata del tutto soppressa la dimensione celebrativa, non dico so¬ pquella mondiale? centesca si adatti perfettamente alla sua poesia... «Io sono della famiglia, sono figlio di questi tempi: chiamato dagli eventi, dalla contìnua oppressione, dall'incalzare della mostruosità, e dalle rarissime giustificazioni che il secolo ci ha dato. Mi sono dovuto interrogare sul senso della nostra prova umana, che noi abbiamo più o meno degnamente sopportato e vissuto, cercando anche in qualche momento di convertirla al positivo, alla acquisizione di conoscenze ulteriori. Questo secolo ci ha scosso nelle viscere, ci ha distrutto; ma ci ha anche preparato a esperienze ulteriori, a conoscenze insperate». E' strano: lei non ha mai usato la parola ermetismo. «Perché è una parola convenzionale, di comodo, che non risponde a nulla. Il problema è un altro; è riconoscere la poesia come momento discriminante nella vita dei singoli, nel tempo lungo della cultura e, in senso generale, dell'umanità». E la poesia, nel nostro secolo, lo ha fatto? «Mi sembra un secolo ricco, non solo per l'Italia, anche se per l'Italia in modo particolare. Un secolo che forse sarà avvicinato ai secoli più felici, da questo punto di vista: al Duecento, al Trecento. Anche allora la poesia era tutto. Poi la cultura si è scissa in molte branche. In questa fase novecentesca autentica, si è ricreata l'unione, fra poesia e totalità». do alla ragione fondamentale, alla religione dell'uomo, con questo interrogativo principe della giustificazione. Mi riferisco in particolare a Caproni e a Sereni». Non anche a Pasolini? «Pasolini è un problema a sé. Ha usato un po' la poesia, e in qualche momento l'ha usata anche bene. Nella "Poesia in forma di rosa" ho riletto tre o quattro cose che mi sono piaciute. Ma non ho una grande opinione di lui. Piuttosto Zanzotto: ha ripreso all'origine il discorso del perché e del come della poesia e del linguaggio umano. Zanzotto, in mezzo agli altri, ci sta bene». E chi ci sta bene, fra i poeti degli ultimi anni? «Mi pare che nelle ultime generazioni si torni spesso a ima poesia di commento al reale, o al mito, partendo sempre da una premessa esistente. Io francamente non voglio mortificare nessuno. Ci sono dei temperamenti, una notevole disponibilità di stile, ma non vedo una concrezione di lingua e di destino». Se dovesse fare un nome, fra i temperamenti notevoli? «Mi è piaciuto Cesare Viviani, il suo ultimo libro, che segna una data. E' partito da una specie di composizione analitica, quasi clinica, e poi ha trovato un momento in cui esperienza e quesito di fondo si sono collegati, conciliati, in una piccola storia personale, molto bella». E Mario Luzi, dove lo colloca? «Questo lo lascio dire a lei». Mi sembra che quanto lei diceva della nuova poesia nove¬ Giorgio IV«mIirosiniii rdi/.ioiir l*)').")

Luoghi citati: Italia