LUZI QUESTO SECOLO HA PENSATO IN POESIA
2.. 2.. MARIO Luzi, e un secolo dì poesia. Il Novecento compie 95 anni e lui è protagonista da 60, testimone quasi dalle origini. Il suo primo libro, La barca, lo pubblicò nel 1935, quando era ventunenne. L'ultimo - per ora nel '94, da ottuagenario che non ha da affidarci soltanto memorie. E' stato presente a tutti i passaggi decisivi della nostra vicenda culturale, in prima fila nella Firenze Anni 30, capitale della nuova letteratura italiana; coscienza critica oggi. Fra gli autori contemporanei è forse quello che, nella poesia, ha trasfuso più pensiero; e che non cessa, a 80 anni, di trasformare il pensiero in poesia. Il suo giudizio sulla poesia del Novecento (ne discuterà domani alle 16 al Salone con Squarotti, Erba, Magrelli, Sanguineti, presentando il libro II canto strozzato edito da Interlinea) parte dal rapporto con la conoscenza; perché questa, secondo lui, è la novità che il nostro tempo ha portato. Siamo nella sua Firenze, a metà strada fra le Giubbe Rosse e Palazzo Strozzi, nell'albergo dove incontrammo per l'ultima volta - e anche Luzi c'era - Eugenio Montale. «La poesia del Novecento - dice il poeta - ha modificato l'orizzonte della speculazione, non solo estetica, ma anche morale dell'uomo: rispetto alla società, e anche rispetto alla conoscenza. E' una connota- Mario Luzi. in prima fila nella Firenze Anni 30, capitale della nuova letteratura italiana: coscienza critica oggi IALLA Romano e la sua storia: «Mia madre era abbonata a un periodico che si chiamava II giornale delle donne, abbastanza raffinato nel suo genere. Tutte cose che io non vedevo. Del resto lei, che era giunta tardi all'interesse per la lettura, fece in tempo a leggere tutto Thomas Mann e tutta la Recherche in francese». Da questa penombra che Lalla Romano ha attraversato spunta anche un titolo preciso: «Quand'ero bambina a Demonte e facevo ancora le elementari, mio padre era abbonato alla Lettura e io appena ho potuto leggere leggevo. Ho trovato h un romanzo di Grazia Deledda intitolato Marianna Sirca. M'è piaciuto moltissimo. Quand'ero ragazzina Grazia Deledda mi piaceva perché il mondo di cui parlava era il mio: le maestre, il prete, le case imbiancate a calce, e poi anche i contadini, i banditi. Mi piaceva pure una certa vena drammatica delle situazioni. Dopodiché non ho più dato nessuna importanza a Grazia Deledda e non credo che ce l'abbia. Non l'ho mai data nemmeno alla Serao che magari era brava, né a Ada Negri, a Amalia Guglielminetti o a Sibilla Aleramo. Sono figure femminili che fanno parte della nostra storia, ma per me non hanno contato. Ho avuto un istinto per la classicità fin da bambina». Affermazioni nette, perentorie (che ribadirà stamane alle 11 in Salone discutendo con Anna Bravo, Roberto Cotroneo, Paola Decina Lombardi, Grazia Livi, Nico Orengo e Elisabetta Rasy. Mentre nel pomeriggio alle 17 sarà a colloquio con Giulio Einaudi e Fulvio Panzeri per il suo racconto Ho sognato l'ospedale, edito dal Melangolo). | | A nessuno verrebbe in mente di adattare a Lalla Romano quanto Pavese, in data 23 maggio '46, scrisse dell'Ale¬ rdi la to ta 6, e¬
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