EDITORI di fine secolo

956 956 EDITORI TORINO POCALISSE o Nuovo Risorgimento: come si comporterà il mondo del libro alla svolta del ^secolo? ^Sè ne" discute oggi al Lingotto, h. 18,30 con Bollati, Calasse Donzelli, Laterza, Monitroni, Scalfari, Tato e Boselli). Continuerà a produrre (con sempre più violenza) scaffali a funzione prevalentemente «anestetica», a lasciare, è la diagnosi ceronettiana, che i libri fiancheggino «l'opera di distruzione radicale che va compiendo questa civiltà incurabilmente cancerosa»? 0 riuscirà a creare le basi di un futuro fondato seriamente sulle tre coordinate «à la Bollati»; riflessione sul passato, comprensione del presente, immaginazione del futuro, puntando sugli ormai tanti e subito celebrati novissimi? E la grande scommessa sulla nascita di una nuova cultura sarà davvero giocata in massima parte dalla tecnologia: Internet il Grande Fratello all'alba del 2000? Editori rispondete. Perché, è proprio così: «Non si può essere visitatori passivi, in un Salone del Libro». Al felice slogan-provocazione di Alessandro Dalai della Baldini fr Castoldi (l'uomo in perenne hit parade) che recita «Va' dove... si trovano i lettori», la controparte ha diritto di chiedere: ma voi, dove mi state portando e come avete intenzione di lavorare da adesso al 2000? A scopo di lucro: non può che rispondere così Franco Tato tornato alla guida della Mondadori. Su queste quattro parole, sinora pressoché sacrileghe nei pur dissestati templi dell'editoria, Tato ha costruito l'omonimo libro, appena uscito: una perlustrazione a tutto campo nell'universo della comunicazione stimolata all'umanista ex manager Fi- SALONE DEL LIBRO DI TORINO SABATO 20 MAGGIO ORE 15.00 Di Giovine, Dogliani, Elia, Luciani, Neppi Modona, Pizzetti, Sicardi, Zagrebelsky presentano i] EDITORIA è, per neces/ sita, strabica: un occhio alla cultura, un occhio al mercato. Io non amo gli strabismi, e per questo i miei libretti li stampo a mie spese per regalarli agli amici. Fa eccezione il mio commento a I Promessi Sposi, che si vende bene (la De Agostini non fa mai cattivi affari). Ma so che il Manzoni mi perdonerà, nel ricordo dei suoi fiaschi come editore. Chi mi iniziò all'editoria fu l'elegantissimo Concetto Marchesi, con cui lavoravo, alla fine del '44 al ministero dell'Italia occupata. Ministro era il tetro Scoccimarro. Un giorno Marchesi mi chiamò: «Hai la laurea in lettere, vai nel settore editoriale». Ero completamente digiuno di esperienze nel ramo: giustezze, tagli, titoli d'autore e capoversi non sapevo che cosa fossero. Un giorno, quando ebbi per la prima volta l'onore di firmare un articolo (su L'Italia libera, del Partito d'Azione) Rozzoni, caporedattore, mi mandò a chiamare e mi disse: «Ma a scuola non te li hanno insegnati gli a capo?». Lo strumento editoriale più importante era allora lo spago; per misurare la lunghezza dei «pezzi», e poi, più prosaicamente, per legare le colonne di piombo. Se un articolo sovrabbondava, si tagliava (onde la necessità degli a capo); se era un po' corto, si inserivano tra riga e riga pezzetti di cartone. Un momento delicato era l'inchiostratura; se scarsa, il testo rimaneva sbiadito; se eccessiva, si formavano macchie nerastre, illeggibili. Poi si copriva il piombo con un cartone speciale (avrà anche avuto un nome ma non lo ricordo), abbastanza morbido per essere avvolto ai rulli della rotativa, dopo averlo premuto bene passandogli sopra un cilindro di ferro. Diventai un esperto, in grado di leggere il piombo anche all'inverso. Per difenderci dalle esalazioni del piombo, ci davano da bere grandi bicchieroni di latte (li digerivo male, e al latte sono rimasto allergico). Tornato a casa, dovevo sciacquarmi a lungo i capelli appiccicosi, incrostati di creda nera. Detti alla cracia la colpa della calvizie; ma mio padre era divenuto calvo da giovane, senza aver mai messo piede in una tipografia. Ho lavorato in grandi case editrici: la Zanichelli di Bologna (Giovanni Enriques mi propose di rimanere, ma pensai con saggezza che i suoi due figli, allora bambini, un giorno o l'altro avrebbero fatto a meno di me); alla De Agostini che trasferì a Firenze, signorilmente, la redazione scolastica, e infine alla Vallecchi. Ho scritto molti articoli ma, quanto a libri, non ho mai fatto gemere troppo i torchi, come si diceva un tempo. Sono quindi, editorialmente, un provvisorio, un precario. Ma, come le rondini del Vangelo, ho sempre trovato alla fine un posto ove posarmi. (Ce n'è voluta. Conservo un bel mucchietto di letterine di Arrigo Benedetti,, allora direttore dèll'Eltropeo, tutte uguali: «La ringraziamo, ma purtroppo il suo articolo non corrisponde alle nostre attuali esigenze»). I giovani di oggi sono più impazienti di come ero io allora. Ma vorrei dirgli che la pazienza è non sol ■ tanto una corazza, ma anche un'arma da combattimento; l'avversario non la conosce, e alla fine è costretto ad arrendersi.

Luoghi citati: Bologna, Firenze, Italia, Torino