Verso la terra promessa
Verso la terra promessa Verso la terra promessa Avanti coi carri, rivive John Ford offrendo speranza contro violenza CANNES. Aveva detto a Peter Bogdanovich che lo intervistava pochi anni prima di morire: «Scrissi io il soggetto originale della "Carovana dei mormoni". Insieme alla "Croce di fuoco" e a "Il sole splende alto", la "Carovana dei mormoni" è il film con cui penso di essere arrivato il più vicino possibile alla realizzazione di ciò che avevo in mente». Grande, inimitabile John Ford! Delle decine e decine e di film che aveva girato nella sua lunga carriera di regista - fra cui capolavori come «fi traditore», «Ombre rosse», «Furore», «Sfida infernale», «Un uomo tranquillo», «Sentieri selvaggi», «L'uomo che uccise Liberty Valan.ee» aveva voluto ricordame solo tre, che non ebbero grande successo né di critica né di. pubblico. Ma forse aveva ragione lui. In quei film (rispettivamente del 1947,1953 e 1950), più che in altri, il suo senso dell'amore universale, della pietà cristiana, della tolleranza, della pace interiore aveva trovato una rappre¬ sentazione fortemente emblematica: storie esili, conflitti psicologici elementari, narrazione lineare. Quasi un percorso «spirituale» dell'uomo verso Dio senza mai smarrire la concretezza della vita quotidiana, la dura realtà dell'esistenza. Così, quando sabato pomeriggio, alla presenza di Claire Trevor (l'indimenticabile Dallas di «Ombre rosse»), di Carroll Baker (l'interprete della «Conquista del West» e del «Grande sentiero», di Ben Johnson e Harry Carey jr., attori fordiani per eccellenza e protagonista della «Carovana dei mormoni», questo film mirabile è stato presentato al pubblico delle grandi occasioni, ci siamo accorti che quella lunga teoria di carri e cavalli che attraversavano l'Ovest selvaggio e aspro alla ricerca della «terra promessa» era un po' il simbolo di tutto il cinema di John Ford: una speranzosa ricerca di pace e di giustizia all'interno dei conflitti sociali, umani, razziali. Speranza contro violenza, pace contro astuzia e sopruso. E una visione profonda dell'uomo come centro motore della storia. Così, fuori dell'universo del western - che pure fu il suo mondo e la sua più ricca fonte di ispirazione -, c'è tutta una serie di situazioni, venate spesso da un sottile umorismo e da un sentimentalismo non banale, che fanno dell'opera complessiva di John Ford una sorta di catalogo di varia umanità, sfaccettato, complesso, intimamente profondo. Lo si è visto qui a Cannes, nella prima parte della retrospettiva a lui dedicata nel centenario della nascita (in realtà, come si sa da molti anni, Ford è nato il 1° febbraio 1894, ma i francesi, e altri con loro, continuano a non crederci!). Una retrospettiva, o meglio un omaggio, che ha presentato, fra l'altro, il bellissimo «Steamboat round the bend» (inedito in Italia), realizzato nell'anno «mirabile» 1935: quello di «Tutta la città ne parla» altro film da non dimenticare, e del «Traditore». Un film, «Steamboat round the bend», che è il grottesco, ma anche drammatico viaggio lungo il Mississippi, ancora una volta simbolo del viaggio dell'uomo verso la speranza. Ed è soprattutto un esempio sorprendente dello stile «libero» di Ford, fatto di osservazione minuta della realtà e di divertito e divertente stravolgimento ironico dei fatti, di improvvisazione degli attori sul set e di rigorosa composizione dell'immagine. Quello stile che gli ha consentito di attraversare cinquantanni di storia del cinema americano - dal 1917, sua prima regia, al 1966, l'anno di «Missione in Manciuria» - quasi totalmente indenne dai condizionamenti della produzione: accettando in pieno gli schemi di Hollywood, ma al tempo stesso immettendovi, di suo, una personale visione del mondo, un amore profondo per l'uomo. Gianni Rondoltno
Persone citate: Ben Johnson, Carroll Baker, Claire Trevor, Harry Carey, John Ford, Peter Bogdanovich
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