Mille e una notte neorealista di Alessandra Levantesi

Hi Realtà, sogno, odio e fantasia mescolati nella pellicola «Il racconto dei tre diamanti» Mille e una notte neorealista Ambientata a Gaza la fiaba di Khleifi CANNES. A chi frequenta i festival capita spesso di sentirsi afflitto da quella che chiameremo la sindrome di Wenders: al pari del regista Patrick Baukhau di «Lisbon story» di fronte all'ammassarsi delle immagini soffriamo di una sconfortante sensazione di mistificazione e inutilità. Poi arriva un capolavoro come «Il racconto dei tre diamanti» di Michel Khleifi e il cinema riacquista il suo significato, la sua capacità unica di avvicinarti al cuore delle cose. Girato a Gaza due mesi prima che vi entrasse Arafat, il film risente della doppia situazione di violenza e speranza di quelle giornate. Ne è protagonista Youssef, un dodicenne che vive con la madre e la sorella in- una casetta affacciata sul mare. Il padre è in prigione e il fratello alla macchia con i resistenti dell'Intifada, la costa è recintata dal filo spinato, le strade sono piantonate dalle truppe, c'è il coprifuoco e le Forze Speciali israeliane fanno sanguinose retate di giovani palestinesi sospetti. Tuttavia Youssef ha altro per la testa che la lotta armata: i suoi sogni che non riesce mai a terminare perché la mamma lo sveglia prima, gli uccellini che è abilissimo a catturare nella rete e il suo amore per la zingarella Ahda. Sapendo che potrà sposarla solo chi ritroverà i tre diamanti che mancano alla collana regalatele dalla nonna, il ragazzino vorrebbe raggiungere il lontano Sud America dove le pietre sarebbero andate perdute; e non avendo i soldi, con l'aiuto dell'amichetto Salah, si nasconde in una cassa di arance da esportazione in partenza per l'Europa. Però Ahda, che anche lei coltiva un mondo di fantasie e magia, si è inventata la storia e i diamanti sono lì a Gaza come Youssef alla fine scoprirà grazie ai suoi sogni. In che modo Khleifi sia riuscito a imbastire un racconto da mille e una notte pieno di simboli e allusioni poetiche lavorando come un neorealista è un mistero della sua ispirazione. Lo scenario è quello dei territori occupati che si vedono nei telegiornali, ma è un sipario dietro il quale si schiude il paesaggio di tutti i giorni, la gente che lavora, i bambini che vanno a scuola, il cieco che attende notizie dai figli emigrati in Canada, il povero e il ricco; e ancora oltre una diffusa spiritualità e il ricordo di un tempo felice. Pur alimentandosi di una quotidianità di odio e violenza colta con stile da reportage, il film è una bellissima favola che affonda le radici nella tradizione. Se i piccoli palestinesi dell'88 sono quelli dell'Intifada, i ragazzini come Youssef sono i portatori della ricostruzione, dell'esigenza dell'unificazione di uno spazio culturale mediorientale che trae la sua ricchezza proprio dall'essere attraversato da influenze diverse, dall'essere contemporaneamente cristiano, ebreo e musulmano. Interpreta il ruolo protagonista un incantevole ragazzino, Bushra Qaraman, duramente provato dagli anni dell'occupazione: il padre ferito sotto i suoi occhi, povero e analfabeta. «Il racconto dei tre diamanti» è rivolto a lui e ai suoi coetanei anche israeliani: la nostalgia del passato è fertile se crea una dinamica per un presente migliore. Alessandra Levantesi Hi John Ford: il Festival di Cannes dedica al regista una retrospettiva nel centenario della nascita. Nella foto a sinistra un'immagine di Gaza

Persone citate: Arafat, John Ford, Khleifi, Khleifi Cannes, Michel Khleifi, Patrick Baukhau, Salah, Wenders

Luoghi citati: Canada, Cannes, Europa, Gaza, Sud America