Misero in croce la realtà Tre giovani tra Bottai e Banfi
Tre giovani tra Bottai e Banfi Gli esordi Anni 30 di Guttuso, Fausto Pirandello e Ziveri Misero in croce la realtà Tre giovani tra Bottai e Banfi BROMA EALISMO; anzi, «nuovo realismo». La parola e il concetto, dal cinema alla letteratura alle arti, evocano la liberazione e la ricostruzione, la nascita solidale della Repubblica e la nascita lacerante della guerra fredda. Ma la loro prima comparsa e radice risalgono, fra Roma e Milano, alla fine degli Anni Trenta nel clima inquieto e confuso, contraddittorio e ambiguo degli ultimi anni del regime, fra il ricambio generazionale, la contestazione della esasperazione paranazista delle retoriche ufficiali del consenso ma anche delle «torri d'avorio» intellettuali, l'emergere della tragedia ebraica e le illusioni alla Bottai di un recupero rivoluzionario populista all'interno del fascismo. Fabrizio D'Amico, nell'ampia e densa introduzione del catalogo della mostra Guttuso Pirandello Ziveri. Realismo a Roma. 1938-1943 (Galleria Netta Vespignani, fino al 31 maggio) ricorda lungo il 1938 il termine senza aggettivi riferito alla clamorosa presenza alla Biennale di quell'anno di uno Ziveri nuovo, non più «tonale», brutale da parte del pittore e critico romano Virgilio Guzzi. A Milano, lo stesso termine di realismo aggettivato con «nuovo» è usato dal giovane Raffaele De Grada su «Corrente di vita giovanile»: «Nell'arte moderna il discorso è chiaro: o gli artisti fanno parte per se stessi e costituiscono casta (i metafisici), oppure interpreti delle vere forze di vita le indirizzano alla costruzione di una società futura di uomini nuovi. Soltanto in questo secondo senso potrà intendersi un nuovo realismo». Sono principi che sboccheranno alla fine dell'anno, nella ricca cerchia intellettuale intorno ad Antonio Banfi, tra filosofia, letteratura e arte, Anceschi e Paci, Sereni e Marchiori, De Grada e Birolli e Sassu, nel primo manifesto di «Corrente»: ritrovare una «drammatica della vita oltre le stanchezze liriche e i riporti naturalistici». Nell'identità del termine, e nel parallelo emergere di giovanili inquietudini, le due concezioni e climi, romana e milanese, sono però piuttosto diversi. Il solo Guttuso ne attua una vera «fusione», coniugando il vitalismo di violenza cro¬ matica, l'ontanza espressionistica e le angolosità picassiane: quando, all'inizio del 1942, egli proclama in Paura della pittura «Una crocifissione che sembri una natura morta e una natura morta che sembri una crocifissione» ha già dipinto la Crocifissione che esploderà in settembre al Premio Bergamo e diventerà una bandiera assai più per i milanesi che per i romani. La natura morta con gli strumenti di una Passione quotidiana in primo piano, altrettanto scandalosa quanto le pie donne nude ai piedi del crocifisso, due splendidi precedenti in mostra nelle due Nature morte fra 1940 e 1942, in cui la dura forza costruttiva da Cézanne a Picasso si riveste della nettezza solare di rossi, verdi, gialli lontani dagli impasti milanesi alla Van Gogh. Non stupisce allora, come antecedente, che la Natura morta con garofani e frutta del 1938 renda ancora omaggio alle densità umorose e affocate di Mafai. Parimenti, nei corsi e ricorsi della formazione definitiva del realismo di Guttuso, se confrontiamo l'ostentato picassismo del grande Nudo sdraiato del 1940 con le Donne al balcone di un anno prima, troviamo in esse singolarissimi incroci con i grotteschi di Mafai e di Maccari, con i loro climi da basso impero dell'ultimo fascismo. In mostra, il tema della natura morta nelle sue possibilità di variazioni è quello che forse meglio sottolinea le diversità di forme e di intenzioni realistiche. Le due di Ziveri, le più assorbite di profondi umori tonali della linea Scipione-Mafai, ri parlano però anche degli esiti «volgarizzati» del suo viaggio nel 1937 nei grandi musei europei, da Chardin a Courbet. Fra le ombre fosche, le fragole, i peperoncini hanno la stessa densità esistenziale delle carni pesanti, da postribolo, viola dorate su fondi verdastri, delle sue grandi femmine. L'unica natura morta di Fausto Pirandello, gestore di un materiale pittorico la cui qualità non ha forse paragoni in Italia, è a sua volta impregnata dello stesso acido drammatico che apparenta Ensor, Kokoschka, Soutine. Rispetto a Ziveri vi vediamo e sentiamo un altro, più fondo e analitico versante della realtà esistenziale, in cui si confondono le linfe vitali della carne e della terra. Mi è sempre sembrato di vedere in filigrana, dietro le sue figure degne di paragone con ogni grande espressionismo europeo da Modigliani a Soutine e dietro ai carnai delle spiagge di Anzio e Fregene ancora «fuori porta», la realtà asciutta e impietosa del primo Moravia, ma frugata dal bisturi logico e feroce del padre Pirandello. Marco Rosei «Nudo sdraiato», un dipinto di Guttuso del '40 alla mostra «Realismo a Roma»
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