L'inconscio inciso nel corpo

L'altro Freud, un esploratore dell'ansia attraverso 40 acqueforti L'altro Freud, un esploratore dell'ansia attraverso 40 acqueforti L'inconscio inciso nel corpo Sulle tracce di Bacon, Hockney e Su P BERGAMO ROVATE a guardare come la gente si accosta ai libri, come li «vede» (per esempio al Salone del Libro). Un volume Einaudi, soprattutto, attira gli sguardi: merito d'un indovinata copertina. Una ristampa di Isherwood. Meccanicamente voltano il volume alla ricerca di qualcosa, non sembra del prezzo. Lo ripongono. Vogliono semplicemente sapere di chi è quella faccia così felicemente espressiva. Col tempo, Lucian Freud ha finito per diventare, con Bacon, David Hockney e pochi altri, un'icona del contemporaneo: molto più dei più decorativi, cartolineschi Magritte e Dalf, per fare due nomi. Si accoglie dunque con gratitudine quest'importante prima mostra (quasi) completa delle acqueforti di un così grande irregolare della pittura, rimasto polemicamente figurativo, sia pure del visionario, negli anni della sbornia concettuale, di temperamento squisitamente inglese, nonostante sia nato a Berlino nel '22, nipote di quel Sigmund Freud che forse avrà anche un poco influito sulla sua tiepida esplorazione visiva dell'inconscio. Un'attività, quella dell'incisione, se non insospettata, certamente poco nota in Italia, dove Freud sta diventando in questi ultimi anni un artista di culto. Già transitata per il Castello di Barolo, ma con alcune varianti significative, la mostra alla Galleria Ceribelli di via San Tomaso 92 espone una quarantina di opere sulle quarantanove complessive: un'autentica, rara occasione di confronto. Anche perché chi conosce bene la pittura, pastosa e macchiata, di Freud e magari ha meno presente la sua attività, pur portentosa, di disegnatore che lo rese celebre nell'ambiente anglosassone già nei tardi Anni Cinquanta, non potrà davvero figurarsi la tecnica incisoria con cui questo cantore degli slum e della depressione domestica riesca a graffire la bisbetica lastra della realtà. Certo, non è immediatamente «maestro» come nella pittura: la sua poetica chiazzata ed oleosa sembra come carnalmente scontrarsi con l'esilità graffiante della «matita» grafica (pare non aver sperimentato mai la litografia e nemmeno il bulino). Così dall'impaccio quasi sgraziato e fanciullo, dallo «sgrazioso», Freud trae una forza di poetica: «età dell'ansia» per dirla con Auden, indisposizione del tratto. Lo ammette perfino il suo esegeta principe, Craig Hartley, che firma qui il filologicamente meticoloso (e imprescindibile) catalogo Alcon. Non soltanto «le sue acqueforti trasformano il candore in scomoda verità», ma anche: «Non importa se vediamo che a volte i suoi sforzi sono maldestri. E' proprio questo impaccio, stranamente sicuro, che conferisce a molte delle sue acqueforti il loro potere di risonanza». Risonanza stretta, angusta, malandata, irrequietudine del vivere che si riflette in questa gabbia dello zigrinare inciso, del tratto che assilla e stringe (come una zoomata) qu' iti volti enfiati e stropicciati, o lesti nudi svasati e stazzonati dalla noia e dalla vita. Non è un caso che la prima sua incisione, del 1946, riproduca il breve romanzo (sembra un poemetto di Saba) d'un uccellino prigioniero in gabbia: il tratto mordace che assedia l'aria, creando ribelli piumaggi di ferro e pelucchi intorno alle sbarre. Ma anche questi corpi nudi, spesse maschili, sono prigionieri della loro anatomia: leale goffaggine della quotidianità, adipe di complicità domestica. Corpi spesso tagliati, acqueforti mutilate, così gli ha consigliato l'amico-pittore Auerbach, e poi ritoccate col pastello. «Voglio lasciare che la natura del mio modello contamini l'atmosfera e in qualche misura la composizione». Che «sbavi»: il corpo gettato, come malessere e pesanteur. Sono disinnescati drammi di condominio, i suoi: «Lavoro con le persone che mi interessano e a cui tengo, nelle stanze in cui vivo e che conosco». La sua prima incisione, sem- rso 40 acqueforti l corpo e Su

Luoghi citati: Barolo, Bergamo, Berlino, Italia