Sequestri la rivolta degli industriali

I familiari di Checchi ricostruiscono l'agguato dei banditi. Il figlio: «Prendete me» I familiari di Checchi ricostruiscono l'agguato dei banditi. Il figlio: «Prendete me» Sequestri, In rivolta degli industriali «Interventi concreti o lasciamo la Sardegna» CALA GONONE (Nuoro) DAL NOSTRO INVIATO Quarantott'ore fa, l'inferno. Il volto di Gilda Romano è livido, chissà quanto tempo dovrà passare, quante altre ore bruciarsi perché quel volto non sia lo specchio del dramma. «Sono entrati ed erano armati, hanno subito cercato di spingerci a terra», racconta ora con voce ferma. Indossa larghi pantaloni beige e blusa blu, niente trucco, niente colore. I banditi erano in quattro: «Hanno chiesto i soldi e gli abbiamo dato quei pochi che avevamo, un'animatrice ha dato i suoi. Ma loro volevano di più", hanno detto di aprire la cassaforte, e dentro c'erano 450 mila lire». Dunque, una rapina? «No, sono tornati da noi e hanno chiesto della bimba. Hanno detto: "Dov'è la piccola, dov'è Gioia? Dov'è, lei, con quella sporca negra". Proprio così, perché sapevano che mia figlia era con la tata, sapevano tutto. E a me è parso di morire, perché Gioia era stata portata a letto e se si fossero messi a cercarla, l'avrebbero trovata». Ma per un momento quelli hanno dato l'impressione di non saper che cosa fare. «Ho tentato di distrarli, ho detto che la piccola era da mia cognata. "Come si chiama?", hanno domandato. Ho tentato di calmarli, d'intrecciare una trattativa. E lorc erano violenti, minacciavano, puntavano le armi. Anche Ferruccio tentava di parlare. E poi è squillato il telefono. Hanno avuto paura». «Ci avevano legati tutti, anche Ferruccio, con le mani dietro alla schiena e le caviglie bloccate. Ma lui lo hanno tirato su e gli hanno detto: "Vieni con noi". E Ferruccio ha risposto: "Non capisco perché mi prendiate. Se prendete me, chi vi paga?"». Cinque banditi e un ostaggio in fuga, un'auto nella notte. «A liberarci abbiamo impiegato cinque minuti, forse dieci, altro che mezz'ora. Il primo è stato un animatore, si è tolto il fil di ferro, poi ha liberato un'animatrice, e poi mio figlio Francesco. Sì, cinque minuti, e abbiamo fatto il 113». E così è scattato il piano antisequestro che rischia di passare negli annali come un ciclopico monumento all'inefficienza. Quando sono arrivati gli agenti, i cacciatori e la preda erano scomparsi, dissolti. E Ferruccio, ricorda il figlio Rodrigo, che è il maggiore, soffre di un'allergia respiratoria e gastrica: un problema serio, per lui, rimanere senza medicine. «Se mi prendete, chi vi paga?»: Rodrigo ricorda le parole del padre e dice: «Devono parlare con lui, i sequestratori devono farlo. Ma devono anche tener presente che non hanno in mano un nababbo. Certo, è una famiglia che sta bene, la nostra, ma non c'è tutta la ricchezza della quale ho sentito parlare. Il villaggio Palmasera è una Spa, mio padre ne è il consigliere delegato; non è il proprietario di un lussuoso albergo a Tivoli, e neppure io lo sono: semplicemente ci lavoro». Se solo Ferruccio Checchi può sciogliere il nodo del riscatto, lei se la sentirebbe di prendere il suo posto? «Sì, ma a patto che fosse una cosa seria. Non vorrei che tenessero me e anche lui». Ma c'è un'altra via. Lo dice Francesco, che è figlio di Gilda, ma è come se fosse anche figlio di Ferruccio: «La sua parola è come un contratto, loro devono saperlo. Sì, potrebbero liberarlo sulla parola». Cipriano Martini, il portiere, non dimenticherà mai quei minuti di terrore. «Erano, in tuta mimetica, con il volto coperto da passamontagna a chiazze, gli anfibi ai piedi. E poi le armi, i mitra. Mi hanno steso a terra, non potevo piegarmi, mi hanno dato un calcio. Poche parole, ma si capiva che erano sardi». E ora ci sono anche altri problemi, quello della stagione turistica, che incombe, e si temono crack. E anche gli industriali fanno la voce grossa, minacciano di «rivedere tutti i programmi d'investimento e programmare un disimpegno delle attività imprenditoriali dalle zone a rischio a vantaggio di altre che offrono maggiori garanzie di sicurezza». In altre parole dicono che potrebbero andarsene dalla Sardegna, magari in Francia. Hanno scritto una lettera al presidente del Consiglio, Lamberto Dini, ai ministri dell'Interno, della Difesa e della Giustizia e al presidente della Regione. Dicono che, così com'è stato finora gestito l'ordine pubblico, equivale a un «totale fallimento». Chiedono interventi concreti. Dicono fra l'altro: «Il tanto decantato piano antisequestri non è esistito e se esisteva è fallito. Nelle nostre aziende, quando non si ottengono i risultati attesi dalla gestione, i responsabili vengono sostituiti». Pietrino Cicalò, un uomo sui 75, è un commerciante. Ma un commerciante all'ingrosso. Suo figlio è un industriale, l'altro giorno è intervenuto a «Tempo reale», la trasmissione di Santoro andata in onda in contemporanea al sequestro. Pietrino Cicalò fu sequestrato nel '79: 116 giorni. Dice: «Concordo con quanto dicono gli albergatori e gli industriali. Le autorità non hanno mai preso seriamente il problema dei rapimenti». [v. tess.] L'APPELLO DEI FAMILIARI I FIGLI »Papà stai tranquillo, siamo disposti a tutto pur di farti tornare con noi. Voi banditi trattatelo bene perché è un uomo onesto». «Siamo pronti a andare a piedi scalzi pur di far fronte alle richieste dei sequestratori, però devono rendersi conto che è inutile chiederci la luna». LA MOGLIE -Ferruccio fatti forza. Sei un uomo intelligente. Torna presto». Il pm Marchetti «Soltanto parole Non hanno preso neppure un bandito» Ma De Gennaro: è una raccomandazione non una condanna Sopra. Ferruccio Checchi con la figlia maggiore. A sinistra, sua moglie con la piccola Gioia. A fianco carabinieri dei reparti speciali

Luoghi citati: Francia, Nuoro, Sardegna, Tivoli