New York e Teheran con occhi di bambini di Alessandra Levantesi
I film di Un certain regard e Quinzaine I film di Un certain regard e Quinzaine New York e Teheran con occhi di bambini CANNES. Ispirandosi alle memorie di Franz Lids, di cui nulla vi sappiamo dire se non che è un ebreo newyorkese come il suo excompagno e ora grande amico Woody Alien, l'attrice Diane Keaton ha realizzato un film gentile, «Unstrung Heroes» (Un certain regard); basandosi sulla sceneggiatura di Abbas Kiarostami, l'iraniano Jafar Panahi ha firmato una bella opera prima, «Il palloncino bianco» (Quinzaine), che si candida autorevolmente alla Camera d'Or per il migliore esordio. Ambientato nei primi Anni 60, «Unstrung Heroes» è la storia dell'elaborazione di un lutto e di un primo passo verso la maturità: ne è protagonista Steven, un ragazzino che deve superare una terribile prova quando la mamma bella e dolce (Andie MacDowell) si ammala di un cancro incurabile. Inventore di strane macchinette e assertore del progresso scientifico, il padre Sid (l'ottimo John Turturro) rivela un'isterizzata fragilità davanti all'evento che il suo razionalismo non può spiegare, né esorcizzare, e Steven, in cerca di conforto, si rifugia presso una coppia di zìi paterni: paranoici e picchiatelli, Danny e Arthur vivono in un loro mondo alimentato dalla fantasia, dalla tradizione e dai ricordi. Ribattezzato da loro Franz che meglio si accompagna al cognome di famiglia Lids, Steven, con Danny che gl'insegna a leggere i libri sacri, scopre il valore dello spirito e della religione; e con il dolce Arthur che gli regala una scatoletta per tenere le cose veramente importanti, quelle che non si vogliono far sparire, apprende il senso del passato. Inutile dire che, a sua volta, Sid trarrà forza nel doloroso frangente dalle acquisizioni del figlio. Delicatezza e sensibilità sono le parole chiave di questo piccolo romanzo di formazione che la Keaton dirige in punta di penna, senza mai cadere (cosa di cui le va dato atto) nel melodrammatico o nel melenso. Grazie anche al bel gruppo di interpreti in cui ben figura il ragazzino Nathan Watt. Quello fra Kiarostami e Panahi, suo assistente in «Attraverso gli olivi», è un incontro del destino perché difficilmente maestro ebbe allievo in più profonda sintonia: «Il palloncino bianco» adotta infatti con assoluta naturalezza il metodo del grande cineasta iraniano. A Teheran, il 21 marzo, circa due ore prima che scocchi il Capodanno musulmano, si svolgono le peripezie di Razieh, una bimba di sette anni che, dopo piagnucolose insistenze, è riuscita a farsi dare dalla mamma i soldi per comprare un pesciolino rosso, secondo l'uso locale di celebrare così la festività: ma li ha persi nella griglia di un tombino. Tutto qui, però la piccola avventura è l'occasione per raccontare lo spettacolo dell'incantatore di serpenti, la lite del camiciaio con il cliente, le nostalgie di un soldatino lontano da casa, gli atteggiamenti affettuosi degli adulti. Scene di vita ordina,? ria inventate stillo schermo in modo da apparire vere: il segreto è un bellissimo copione che si adegua alle esigenze dell'improvvisazione, la capacità del regista di cogliere con freschezza il gioco degli attori professionisti e non, impedendo ogni manierismo. Il bello è che dopo averci tenuto per più di un'ora dietro a Razieh (la impersona la straordinaria Aida Mohammadkhani), Panahi ci lascia con l'immagine di un povero ragazzino afghano venditore di palloncini (glien'è rimasto solo uno bianco) che, dopo essersi adoperato ad aiutare la bambina e il di lei fratellino a recupare il denaro, viene da loro piantato senza un ringraziamento. Il che conferisce a questo film che sembra parlare di una società mite e umana un finale assai amaro. Alessandra Levantesi
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