La maledizione di Ebola niente inviti all'esercito tedesco

Matematica opinione di parte AL GIORNALE La maledizione di Eboia; niente inviti all'esercito tedesco Basterebbe una visita medica Già da alcuni giorni non si fa altro che parlare di «Eboia», allarme rosso per i tanti morti che questa malattia provoca; tutto come avvenne negli ultimi tempi quando ci fu un altro allarme per questa malattia che, si scrisse, veniva trasmessa da una certa razza di scimmie. Se non vado errando, centinaia di esseri umani nati e vissuti nelle zone ove si stanno verificando i recenti decessi sono stati trasferiti poi in altre zone dell'Africa per poi arrivare in Italia; che stando agli avvenimenti recenti pare voglia sostituire l'America dell'Ottocento, che fu esternata da una epigrafe della poetessa Emma Lazzarus scolpita sul piedestallo della famosa Statua della Libertà. Ecco le parole della famosa epigrafe: «Tenetevi il vostro patrimonio di storia, o popoli antichi, invoca senza chiudere le labbra. Datemi le vostre folle stanche, povere, oppresse che anelano a respirare aria libera, agli sciagurati respinti dalle vostre rive brulicanti. Mandatemi i senza patria sballottati dalla tempesta. Tengo alta la lampada accanto alla porta d'oro». Innaiizitutto credo che in Italia oggi più che mai non si respiri quell'aria ottocentesca che si respirava in America allora, comunque la mia domanda è questa; questi esseri umani che clandestinamente, e sono tantissimi, arrivano in Italia o sono in Italia assieme direi ai regolari vengono sottoposti a visita medica? Enrico Maxia, Cagliari Resistenza dimenticata Ho letto con molta attenzione quanto scritto dal sig. Paolo Ferrante di Northwood (Inghilterra) e non voglio entrare nel merito delle sue opinioni espresse alla sig.ra Villa Bossetti, ma semplicemente chiarire un concetto «per amore della storia». Mr. Ferrante asserisce che l'esercito tedesco non era un eserci¬ to invasore (come lo aveva definito la predetta signora) ma un «esercito invitato da un governo in carica e internazionalmente riconosciuto». Per amore della storia ciò è vero solo in parte. Facciamo un passo indietro e cioè all'indomani dell'arresto di Mussolini (avvenuto il 25 luglio '43). In Italia c'erano già nove divisioni germaniche (invitate ovviamente da Mussolini). L'8 settembre '43 (circa sei settimane dopo) le divisioni erano sedici più due brigate. Il massiccio ingresso delle forze tedesche venne fatto con grande rapidità e non certo su invito del gen. Badoglio tutto intento a preparare l'armistizio. In teoria potevano essere considerate truppe in transito per difendere il territorio italiano dato che gli Alleati erano già sbarcati in Sicilia, e preparavano sbarchi al Sud. Dopo il voltafaccia dell'Italia cosa accadde? Che al Nord un primo gruppo d'Armata riuscì in pochi giorni a far prigioniere intere divisioni italiane. Il gen. Rommel, comandante di questo gruppo, spedì in Germania, nei campi di prigionia, qualcosa come seicentomila italiani, mentre al Sud le divisioni del gen. Kesselring disarmarono i nostri reparti, senza però deportarli in Germania. Rommel venne poi allontanato e Kesselring ebbe poi il comando di tutto il fronte italiano. L'Italia si trovò pertanto sotto il tallone tedesco e quindi se questi militari tedeschi non h' vogliamo definire con il termine «invasori» possiamo chiamarli «forze d'occupazione». La Germania non era più l'antica alleata, ma ci era diventata nemica, ovvio d'altronde che fosse così. A partire dal novembre '43, dopo i primi momenti di sbandamento, comincia la Resistenza italiana, quella Resistenza che molti vorrebbero che fosse dimenticata, ma che invece fa parte della nostra storia con le sue azioni gloriose e con i suoi errori come inevitabilmente accade per tutto quanto è umano. Renzo Ferri, Novara Il weekend degli alpini Gli articoli apparsi sabato 6 e domenica 14 maggio relativi alla paventata «estinzione» degli alpini e all'introduzione del weekend nelle caserme, richiamano l'attenzione dell'opinione pubblica sulla incerta prospettiva del nostro eser¬ cito nel nuovo contesto di maggiore impegno internazionale in cui l'Italia si trova ad operare e si prestano ad almeno un paio di osservazioni. Non so quanto vi sia di realistico nel rischio di estinzione degli alpini (che però le parate del gen. Incisa di Camerana sembrerebbero smentire) certo che basta aver trascorso la naja in quel corpo per capire che anche i gloriosi soldati di montagna sarebbero del tutto impari al loro compito, qualora dovessero impegnarsi sul serio in guerra. I miei ricordi non sono arcaici e quindi credo che siano ancora sostanzialmente validi. Per ripararsi dal freddo, sotto una mimetica di cotone adatta a climi mediterranei e soleggiati, c'era soltanto la stratificazione di maglioni e camicioni di lana che culminava nei gloriosi mutandoni, più adatti ai reumatismi del nonno che alla scioltezza di movimento auspicabile in un soldato ventenne. Gonfi di maglia, ci si salvava per qualche ora dai rigori del chma cuneese invernale, durante le esercitazioni in ordine chiuso ritmate dal suono delle marcette, ma non appena ci si addestrava al passo del leopardo sulla neve o sul ghiaccio, ci si infradiciava completamente in pochi minuti. Gli scarponi saranno anche stati un glorioso simbolo del corpo, ma erano coriacei e nonostante il grasso con cui dovevamo accuratamente trattarli, lasciavano inesorabilmente filtrare la neve liquefatta. Le giacche a vento erano poche e spesso sbrecciate, in ogni caso inferiori a quelle che si potevano comprare nella vita civile. Non parliamo poi dell'armamento: il Fai poteva forse avere velleità di fucile automatico, ma il Garand della guerra di Corea era assai più simile al modello '91 di quanto si volesse confessare. I proiettili erano pochi e preziosi, perfino negli addestramenti a fuoco. Ricordo di aver pensato più volte che con una simile attrezzatura, in caso di guerra vera, avremmo fatto al più la fine dell'esercito argentino contro quello britannico alle Falkland: poveri fantaccini intirizziti contro i formidabili professionisti di Sua Maestà. Ecco un argomento che si dovrebbe considerare quando ci comparano i costi del soldato di leva e del professionista: la resa del secondo sarebbe incomparabilmente superiore e quindi ne sarebbero necessari di meno. Inoltre al professionista si possono chiedere rischi improponibili al giovane di leva. Già oggi nelle missioni Onu mi risulta che vengano inviati soltanto volontari, lautamente retribuiti e assai meglio protetti e armati. Franco Contaretti Montalto Dora (TO) La scoperta dell'acqua calda Su La Stampa del 13 maggio, nella prima pagina si legge «Scuola nuovo contratto - Il merito sale in cattedra». In casa nostra siamo nella scuola da quattro generazioni, io sono la 3a e sono in pensione. Mi ricordo quando i presidi davano a fine anno la «qualifica» ai professori (ed era segreta, solo al Provveditore) in base alla quale i migliori avevano «scatti» per merito distinto. A me davano la qualifica, il cui punteggio andava nelle graduatorie per gli incaricati e fruttava «scatti» per i titolari. Poi è sparito tutto: non più qualifiche, non più «scatti», non più carriera migliore per i migliori. Ora, facendola passare per una novità si riparla in fondo della stessa cosa e si chiama giustizia distributiva l'onore al merito. Meno male che ogni tanto qualcuno scopre l'acqua calda e speriamo che serva. Marialuisa Bini Novara I compensi di Predieri Scrivo a proposito dell'articolo del 9 maggio, «Il manager più ricco? E' Uckmar», in cui il vostro giornale scrive che mi trovo al quinto posto dei redditi dei primi dieci manager pubblici con le retribuzioni più alte con un reddito di L. 1.403.686.000, come Commissario liquidatore dell'Efim. Come Liquidatore, che non significa essere manager, il mio compenso è determinato con Decreto Interministeriale del 2.11.1994 in L. 312 milioni. prof. aw. Alberto Predieri Commissario hquidatore deu'Efim Roma I dati non sono nostri, ma della presidenza del Consiglio dei ministri, [r. e. s.)